La decisione delle gemelle Kessler di ricorrere al suicidio assistito in Germania ha riportato al centro dell’attenzione il tema del fine vita, che da anni attende una normativa nazionale chiara.

In Germania la pratica è ammessa a precise condizioni, mentre in Italia rimane regolata solo da una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, in assenza di una legge organica del Parlamento.
Proprio mentre il caso delle due sorelle accende la discussione pubblica, il governo italiano sceglie di intervenire su un altro fronte: impugna la legge regionale appena approvata dalla Sardegna (come aveva fatto con la Toscana) che stabilisce procedure e tempi per accedere al suicidio medicalmente assistito.
L’impugnazione del governo contro la legge sarda
Il Consiglio dei Ministri ha formalizzato l’impugnazione della legge n. 26 del 18 settembre 2025, con cui la Sardegna disciplinava l’assistenza sanitaria al suicidio medicalmente assistito. Per Palazzo Chigi la norma travalica completamente le competenze regionali, invadendo ambiti — come ordinamento civile e penale, livelli essenziali delle prestazioni e tutela della salute — riservati allo Stato dall’articolo 117 della Costituzione.
La scelta ha un peso politico evidente: i partiti di maggioranza hanno sempre espresso contrarietà alla regolamentazione del suicidio assistito, pur essendo una pratica ammessa in Italia dal 2019 nei casi indicati dalla Consulta. Nel frattempo il Parlamento non è mai riuscito ad approvare una legge nazionale, lasciando un vuoto che alcune Regioni stanno cercando di colmare.
Il contenuto della legge sarda
Il testo approvato dal Consiglio regionale il 17 settembre 2025, con 32 voti favorevoli, prevedeva una struttura molto simile a quella proposta dall’associazione Luca Coscioni: una commissione multidisciplinare incaricata di verificare i requisiti dei richiedenti — patologie irreversibili, dipendenza da trattamenti vitali, piena consapevolezza — e un comitato etico territoriale per validare le decisioni.
L’assistenza sarebbe stata gratuita e l’iter amministrativo doveva concludersi entro 30 giorni. Durante il dibattito in aula, la maggioranza regionale aveva definito il provvedimento “una legge di civiltà”, ritenendo necessario garantire un percorso chiaro a chi vive condizioni di sofferenza estrema. Le opposizioni di centrodestra avevano invece avvertito che la legge eccedeva le competenze regionali e sarebbe stata inevitabilmente impugnata.
L’incognita delle Regioni e la parola che ora spetta alla Consulta
Con la Sardegna salgono a due le Regioni che hanno tentato di introdurre un quadro regolatorio sul fine vita, dopo la Toscana. Anche in quel caso il governo aveva impugnato la legge regionale, la cui sorte è tuttora nelle mani della Corte Costituzionale.
Sarà proprio la Consulta a determinare se e quanto le Regioni possano intervenire su un ambito che tocca etica, diritti individuali e organizzazione sanitaria. Una decisione favorevole allo Stato annullerebbe la legge sarda; una sentenza che riconoscesse margini di competenza alle Regioni aprirebbe invece un precedente destinato a influenzare tutto il sistema dei diritti civili in Italia.
I diritti già riconosciuti
In Italia, l’eutanasia attiva è illegale e considerata un reato penale ai sensi degli articoli 579 e 580 del Codice Penale. Tuttavia, la legge italiana permette al paziente di rifiutare le cure o di interromperle tramite sedazione profonda, e il suicidio assistito è una possibilità concreta per casi specifici, secondo quanto stabilito dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale.
L’accesso al suicidio assistito è vincolato a requisiti specifici, anche se attualmente non esiste una legge nazionale che lo regoli in modo completo, ma piuttosto pronunce della Corte Costituzionale e del dibattito politico in corso.
Toscana e Sardegna si erano dunque mosse all’interno di questo quadro, lavorando su modi e tempi certi da garantire agli aventi diritto.
Il precedente della Toscana e il primo caso di morte assistita
La Toscana era stata la prima a legiferare, con una norma approvata il 14 marzo 2025 e in vigore da maggio. Come la Sardegna, aveva cercato di introdurre una procedura uniforme in assenza di una legge nazionale. Anche questa legge è stata contestata dal governo per violazione dell’articolo 117, con l’accusa di invadere le prerogative statali.
Nonostante l’impugnazione, l’11 giugno 2025 in Toscana si è registrato il primo caso di morte medicalmente assistita effettuato ai sensi della legge regionale.
Il presidente Eugenio Giani aveva difeso il provvedimento come un atto di responsabilità volto a garantire procedure certe e trasparenti, ribadendo che la norma colma un vuoto creato dall’inazione del Parlamento.

La reazione alla decisione del governo era stata immediata. Le forze di destra avevano salutato positivamente l’impugnazione, ritenendola necessaria per evitare una frammentazione legislativa tra le Regioni. I partiti del centrosinistra, insieme alla segretaria del PD Elly Schlein, avevano invece accusato l’esecutivo di voler frenare l’espansione dei diritti civili, definendola una mossa “ipocrita”, ricordando che l’assenza di una legge nazionale espone i cittadini a profonde diseguaglianze territoriali.
Una palude normativa che dura dal 2019
Dal 2019, anno della storica sentenza 242/2019, la Corte Costituzionale ha riconosciuto la possibilità di accedere al suicidio medicalmente assistito in presenza di condizioni molto precise. Ma la Consulta aveva sottolineato che occorreva una legge del Parlamento per definire criteri e modalità operative.
A sei anni di distanza, questa legge non esiste ancora. Nel settembre 2025 è approdata in Senato una bozza di legge sul fine vita, promossa da Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Noi Moderati. Che ha incontrato feroci critiche di opposizioni e associazioni. Al momento è tutto fermo.
L’eutanasia attiva rimane illegale, il suicidio assistito è possibile solo entro i confini disegnati dalla giurisprudenza, e Regioni e aziende sanitarie si muovono in ordine sparso. Il risultato è un quadro disomogeneo che alimenta incertezza, conflitto politico e continui ricorsi ai tribunali.