Cosa succede se l'Italia rinuncia davvero al gas russo: le simulazioni
Lo stop alle forniture russe farebbe scattare subito il piano di emergenza per razionare i consumi di famiglie e imprese: le conseguenze più gravi arriverebbero in autunno.
Dopo che il tanto minacciato blocco del gas russo è diventato realtà con lo stop alle forniture del combustibile a Polonia e Bulgaria che si sono rifiutate di pagarlo in rubli come imposto da Mosca, all'orizzonte potrebbero rivelarsi drammatici scenari qualora il presidente Putin decidesse di agire col pugno duro interrompendo le consegne di gas all'Italia e ad altri Stati dell'Unione Europea. Per contrastare quest'ottica, complice anche i rincari dei prezzi dell'energia degli ultimi mesi, il Premier Draghi si è mosso con dei viaggi internazionali in Africa al fine di cercare un'intesa per i rifornimenti di gas da altri Paesi: accordi che, in tal senso, sono stati raggiunti con Algeria, Angola e Congo.
A prescindere da ciò, tuttavia, il possibile blocco del gas russo rappresenterebbe una grave problematica per la nostra Penisola: l'Italia dovrebbe rinunciare all'improvviso a 28 miliardi di metri cubi all'anno, pari al 38 per cento del suo fabbisogno complessivo. Uno stop che farebbe scattare subito il piano di emergenza per razionare i consumi di famiglie e imprese e che, più che effetti sul breve periodo, porterebbe a drammatiche conseguenze in autunno e in inverno, durante i mesi più freddi dell'anno.
Cosa succede se l'Italia (e l'Europa) rinuncia davvero al gas russo
Le minacce di Putin sono diventate reali e ora c'è da vedere se toccheranno anche il nostro Paese. Polonia e Bulgaria, dopo non aver pagato il gas russo in rubli, sono state colpite dallo stop delle forniture del combustibile da parte di Mosca. Una manovra che ha generato una nuova escalation di sanzioni verso la Russia da parte dei Paesi dell'Unione Europea a cui di certo non tarderà ad arrivare la contro-replica del Cremlino, sia sul campo di battaglia in Ucraina, sia su quello strettamente economico.
La prossima scadenza da tenere d'occhio è la seconda metà di maggio quando sono previsti i prossimi pagamenti a scadenza dei contratti di gas con la Russia. Come riportato dal quotidiano finanziario Bloomberg alcuni paesi europei avrebbero già pagato in rubli le forniture a Gazprom e in totale 10 Paesi avrebbero finora aperto i conti speciali presso Gazprombank necessari per assecondare le condizioni di Mosca di pagare in valuta locale. Per ora il nostro Paese non figura e pertanto se la Russia continuerà con la sua rigida politica di distacchi ai paesi che non pagheranno in Rubli a maggio l'Italia rischierebbe grosso. E se il Governo italiano dovesse decidere di rinunciare al gas russo cosa succederebbe?
A pagarne le spese più ingenti di un eventuale scenario sarebbero Germania e Italia: se Berlino dipende per 43 miliardi di metri cubi equivalenti al 51% del suo import dal gas russo, l'Italia dipende per il 38% del gas totale che importa, 29 miliardi di metri cubi.
Al via i piani di emergenza per razionare i consumi
Una situazione di questo tipo porterebbe in primo luogo a mettere in atto i piani di emergenza per razionare i consumi di famiglie e imprese già previsto dal governo. La mancanza di gas proveniente dalla Russia, tuttavia, non avrebbe effetti drastici nel breve periodo, perché le conseguenze più gravi arriverebbero nel prossimo autunno. Ciò accadrebbe perché la carenza del combustibile russo metterebbe in crisi le operazioni di riempimento degli stoccaggi, le cosiddette riserve strategiche, al momento piene al 35 per cento. La Ue ha detto che devono arrivare al 90 per cento per la fine di ottobre. E siccome non possono scendere oltre la soglia attuale, il gas russo dovrebbe essere sostituito da materia prima in arrivo da altri fornitori.
Quali scenari si aprirebbero se l'Italia rinuncia al gas russo
Come affermato in precedenza il Governo starebbe già lavorando su uno scenario di distacchi e razionamenti dei consumi: alcune simulazioni allo studio del ministero della Transizione ecologica prenderebbero in considerazione un periodo compreso tra maggio e giugno come possibile data dello stop di Mosca.
Per sopperire ai 29 miliardi di metri cubi persi da Mosca, l'Esecutivo alla ricerca di nuovi partner in Africa con cui approvvigionarsi, stipulando accordi con Algeria, Angola e Congo. Un altro aiuto per l'equivalente di 3,5 miliardi di metri cubi annui arriverebbe dall'uso delle quattro centrali a carbone già caldeggiato dal presidente Draghi a Febbraio come eventualità solo temporanea vista l'alto tasso di inquinamento che comporterebbe.
Ad analizzare tutti i possibili scenari di un blocco del gas russo ci ha infine pensato il DEF, ossia il Documento di Economia e Finanza, che ne ha delineati quattro in tutto:
- Nel primo scenario, le aziende del settore riescono ad assicurare il soddisfacimento del fabbisogno grazie alla diversificazione degli approvvigionamenti. Ma “l’embargo provoca un ulteriore rialzo dei prezzi del gas, dell’elettricità e del petrolio rispetto a quello prefigurato nel quadro tendenziale. In particolare, si è ipotizzato che il prezzo del gas risulti nel 2022 più elevato rispetto allo scenario del DEF del 37 per cento (69 per cento nel 2023), il prezzo del petrolio del 9 per cento (4,5 per cento nel 2023) e quello dell’elettricità del 30 per cento (58 per cento nel 2023). Mediante il modello MACGEM-IT si è determinato l’impatto del rialzo dei prezzi sui livelli di produzione, tenendo conto dell’utilizzo di materie energetiche nei diversi settori e dei legami intersettoriali. Inoltre, poiché l’embargo riguarda anche gli altri Paesi europei, lo scenario considera anche gli effetti di un calo delle loro attività dovuto al forte rialzo dei prezzi energetici, che si manifestano attraverso una minore domanda estera”.
- Nel secondo scenario, invece, “si ipotizza che gli sforzi di diversificazione nell’approvvigionamento non producano i risultati attesi a causa di difficoltà di varia natura. L’interruzione nelle forniture di gas dalla Russia si accompagna, quindi, oltre che a un ancor più marcato incremento dei prezzi del gas, dell’elettricità e del petrolio (+10 per cento in media rispetto a quanto già ipotizzato nel primo scenario), anche ad una carenza di gas, stimata pari al 18 e al 15 per cento delle importazioni in volume, rispettivamente, nel 2022 e nel 2023. Anche in questo scenario si considerano gli effetti dell’analoga caduta di attività nei partner commerciali europei”.
- La terza simulazione riguarda i tassi di cambio. “Nello scenario alternativo essi sono stati fissati, nell’orizzonte di previsione, ai livelli corrispondenti alle quotazioni medie dei tassi di cambio a termine (forward exchange rates) registrate nel periodo più recente (nei 10 giorni a partire dal 3 marzo 2021). Nel 2022 risulterebbe un minore apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro rispetto allo scenario di base (del 4,8 per cento invece che del 6,3). Inoltre, a fronte di una sostanziale invarianza del tasso di cambio nominale effettivo nello scenario di riferimento, si registrerebbe un apprezzamento medio dell’euro rispetto alle altre valute di circa lo 0,3 per cento nel 2022 e del 2,3 nel 2023. Nel 2024 e 2025 l’apprezzamento sarebbe, rispettivamente, del 3,2 e 0,8 per cento”.
- La quarta e ultima simulazione “si riferisce a fattori di rischio connessi alle condizioni finanziarie dell’economia. Rispetto allo scenario di riferimento, si è ipotizzato un livello del tasso di rendimento del BTP a dieci anni più elevato di 100 punti base. Queste condizioni meno favorevoli per il finanziamento del debito pubblico non riguardano l’anno in corso ma soltanto gli anni successivi, a motivo del programma di acquisti di titoli finanziari da parte della banca centrale tuttora in corso, che concorre a limitare il rischio di tensioni nei mercati finanziari. In questo scenario alternativo, i livelli più elevati dello spread BTP-Bund dall’anno 2023 si traducono in condizioni meno favorevoli per l’accesso al credito, con l’applicazione di tassi di interesse più elevati sui prestiti alle famiglie e le imprese”.
La situazione è molto complicata
In definitiva lo scenario che era indicato come da evitare si sta profilando invece con forza e l'Italia si ritroverebbe a dover gestire un ammanco di circa 9 - 10 miliardi di metri cubi che porterebbe a dover scegliere blackout programmati.
Inoltre il prezzo del gas potrebbe spingere molte aziende energivore a chiudere: con prezzi superiori ai 100 €/MWh, non sarebbe possibile garantire la profittabilità di molte produzioni. Già oggi dopo lo stop ufficiale delle forniture di Gazprom a Polonia e Bulgaria il prezzo del gas naturale in Europa è schizzato del 16% a 119,75 euro per megawattora, per poi ripiegare sopra i 106 euro. Considerando che la settimana scorsa i prezzi si stavano stabilizzando sotto quota 100 euro la dinamica dei prezzi con il taglio delle forniture potrebbe aprire uno scenario difficilmente prevedibile sul piano del prezzo.