Come funziona lo smart working nel pubblico e nel privato? Domande e risposte per fare chiarezza
Otto quesiti pubblicati dal Ministero della Pubblica Amministrazione. E non manca una stoccata ai sindacati e a qualche parte politica.
Si torna a parlare con grande attenzione di smart working. Con la salita dei contagi che si fa segnare ogni giorno numeri da record - e il picco è previsto tra un paio di settimane - non sono pochi coloro che premono per un ritorno in massa del lavoro agile, soprattutto per evitare assembramenti sui mezzi pubblici, da sempre ritenuti uno dei principali luoghi di contagio. Anche questo tema sarà presumibilmente trattato durante il Consiglio dei ministri di mercoledì 5 gennaio 2022, insieme all'obbligo vaccinale per i lavoratori e alle norme per le ripresa delle scuole.
Come funziona lo smart working nel pubblico e nel privato?
Anche su questo tema la maggioranza di Governo è divisa: secondo il ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta le norme attuali già consentono la flessibilità. Ma potrebbe anche arrivare una circolare che detterà nuove regole per questo momento nuovamente emergenziale: si parla di lavoro in presenza prevalente (almeno il 50%), ma indicando le categorie di lavoratori pubblici cui permettere di aumentare il lavoro agile.
Intanto, anche a seguito delle recenti polemiche con sindacati e alcune parti politiche, il Ministero della Pubblica amministrazione ha pubblicato otto domande e risposte per illustrare al meglio come funziona lo smart working nel pubblico e nel privato. E non manca una punta polemica in coda.
Vediamole insieme.
Quando è stato avviato il percorso di superamento dello smart working emergenziale nella Pubblica amministrazione?
Già il 10 marzo 2021, nel Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale siglato a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio, Mario Draghi, il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, e i sindacati, si concordava che, “con riferimento alle prestazioni svolte a distanza (lavoro agile), occorre porsi nell’ottica del superamento della gestione emergenziale, mediante la definizione, nei futuri contratti collettivi nazionali, di una disciplina che garantisca condizioni di lavoro trasparenti, che favorisca la produttività e l’orientamento ai risultati, concili le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con le esigenze organizzative delle Pubbliche Amministrazioni, consentendo, ad un tempo, il miglioramento dei servizi pubblici e dell’equilibrio fra vita professionale e vita privata”.
Quali sono state le tappe successive?
Il Patto del 10 marzo ha segnato l’avvio di un percorso che ha reso possibile, in pochi mesi, il raggiungimento di tre tappe importanti:
1) la prima, a fine aprile (decreto legge “proroghe” n. 56/2021, articolo 1), ha riguardato il superamento di vincoli rigidi e soglie percentuali minime per l’applicazione dello smart working nella Pubblica amministrazione;
2) la seconda, dal 15 ottobre - coerentemente con la riapertura di tutte le attività economiche, sociali e culturali del Paese grazie al progredire delle vaccinazioni e all’obbligo di green pass per tutti i 23 milioni di lavoratori pubblici, privati e autonomi - ha permesso di ripristinare il lavoro in presenza come modalità ordinaria nella Pa (Dpcm 24 settembre e Dm 8 ottobre);
3) la terza, in parallelo, ha visto il decollo delle trattative per i rinnovi contrattuali, nell’ambito dei quali, in attuazione del Patto, devono essere disciplinati gli aspetti di tutela dei diritti dei lavoratori, delle relazioni sindacali e del rapporto di lavoro connessi al lavoro agile (quali il diritto alla disconnessione, le fasce di contattabilità, il diritto alla formazione specifica, il diritto alla protezione dei dati personali, il regime dei permessi e delle assenze e ogni altro istituto del rapporto di lavoro e previsione contrattuale). In attesa che i nuovi contratti diventino operativi – il 21 dicembre è stata firmata la preintesa per il comparto funzioni centrali – questi aspetti sono stati anticipati per tutta la Pubblica amministrazione nelle “Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche”, concordate con i sindacati, sulle quali è stata acquisita l’intesa in Conferenza Unificata lo scorso 16 dicembre.
Che cosa prevedono le linee guida per il lavoro agile nella Pa?
Le linee guida, secondo quanto stabilito dalla legge 81/2017, prevedono che lo svolgimento del lavoro agile è rimesso all’accordo individuale con il lavoratore, in cui vengono definiti durata, modalità e obiettivi della prestazione. Le linee guida prevedono le seguenti ulteriori condizioni per lo smart working:
a) l’invarianza dei servizi resi all’utenza;
b) l’adeguata rotazione del personale autorizzato alla prestazione di lavoro agile, assicurando comunque la prevalenza per ciascun lavoratore del lavoro in presenza;
c) l’adozione di appositi strumenti tecnologici idonei a garantire l’assoluta riservatezza dei dati e delle informazioni trattati durante lo svolgimento del lavoro agile;
d) la necessità, per l’amministrazione, della previsione di un piano di smaltimento del lavoro arretrato, ove accumulato;
e) la fornitura di idonea dotazione tecnologica al lavoratore;
f) il prevalente svolgimento in presenza della prestazione lavorativa dei soggetti titolari di funzioni di coordinamento e controllo, dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti;
g) la rotazione del personale in presenza ove richiesto dalle misure di carattere sanitario;
h) il dovere di fornire al lavoratore idonea dotazione tecnologica, che garantisca la sicurezza e il divieto di ricorso all’utenza personale o domestica del dipendente, salvo i casi preventivamente verificati e autorizzati.
Come le amministrazioni pubbliche possono organizzare la rotazione dei lavoratori?
Ogni amministrazione può programmare il lavoro agile con una rotazione del personale settimanale, mensile o plurimensile. Ciò consente di prevedere l’utilizzo dello smart working con ampia flessibilità, anche modulandolo, se necessario, sulla base dell’andamento dei contagi, tenuto conto che la prevalenza del lavoro in presenza contenuta nelle linee guida potrà essere raggiunta anche al termine della programmazione. In sintesi, ciascuna amministrazione potrà equilibrare lavoro agile e in presenza secondo le modalità organizzative più congeniali alla propria situazione, anche considerando l’andamento epidemiologico nel breve e nel medio periodo.
Qual è la disciplina di riferimento del settore privato?
Anche per il lavoro privato la legge di riferimento è la n. 81/2017, secondo cui per l’adozione dello smart working è necessario un accordo scritto tra datore di lavoro e dipendente che stabilisca durata, condizioni del recesso, modalità di esecuzione della prestazione, strumenti tecnologici utilizzati, nel rispetto del diritto alla disconnessione per il lavoratore. Insieme allo stato di emergenza, però, il cui termine è stato posticipato al 31 marzo 2022, è stata prorogata la procedura semplificata per l’accesso al lavoro agile, che non prevede di allegare alcun accordo con il lavoratore e che si basa esclusivamente sulla modulistica (un template per comunicare l’elenco dei lavoratori coinvolti) e sull’applicativo informatico resi disponibili dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Non sono ammesse altre modalità per l'invio della comunicazione.
Anche nel settore privato sono state approvate linee guida per lo smart working?
Sì. Il 7 dicembre 2021 il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha raggiunto l’accordo con le parti sociali sul primo “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile” nel settore privato. Il protocollo è del tutto simile alle linee guida sul lavoro agile emanate dal Dipartimento della funzione pubblica.
Qual è, adesso, la differenza fondamentale tra il lavoro agile nel settore pubblico e nel settore privato?
Fino al 31 marzo 2022, la differenza fondamentale sta nell’obbligatorietà, per il settore pubblico, dell’accordo individuale, come previsto dalla legge 81/2017, mentre nel settore privato è ancora ammessa la forma semplificata di smart working, senza necessità di accordo individuale.
Che cosa chiedono, dunque, quei sindacati e quelle forze politiche che invocano lo smart working generalizzato nella Pa?
Chi sta invocando lo smart working generalizzato nella Pubblica amministrazione non si accontenta del lavoro agile regolato, strutturato e ampiamente flessibile che è stato disegnato in maniera condivisa e partecipata in questi mesi - attraverso il confronto con i sindacati, e con l’intesa del Governo, delle Regioni, dei Comuni e delle Province - ma chiede il ritorno alla situazione del lockdown di marzo 2020. Allora, con un decreto legge, l’attività ordinaria nella Pa divenne quella in lavoro agile, ma non per tutti i dipendenti. In quella fase drammatica, una parte di lavoratori pubblici, non potendo svolgere smart working per la natura delle loro mansioni, fu costretta a ricorrere all’utilizzo di ferie e permessi pregressi, fino ad arrivare, in alcuni casi, all’esonero dal servizio, continuando a percepire la retribuzione. Per i lavoratori dipendenti del settore privato, invece, nei casi in cui lo smart working non era possibile, si fece massiccio ricorso alla cassa integrazione. L’Italia viveva un’emergenza sanitaria caratterizzata dal dilagare di un virus sconosciuto contro il quale non esistevano vaccini. Per questo il Governo era stato costretto a chiudere tutte le attività e i servizi sull’intero territorio nazionale, tranne quelli essenziali, e a limitare la circolazione delle persone. Oggi, fortunatamente, non siamo più in lockdown e il Paese sta tenendo aperte le sue attività, grazie alla campagna vaccinale e alla strategia del green pass e del super green pass. Il lavoro agile di massa non è più giustificato e ci sono tutti gli strumenti, comprensivi di diritti e di tutele per i lavoratori e per gli utenti dei servizi pubblici, che garantiscono ampia flessibilità organizzativa alle singole amministrazioni.