le parole del premier

Draghi: "Niente rimpasto, avanti così. Finita questa esperienza se vorrò trovarmi un lavoro lo farò da solo..."

"No" al ruolo di federatore del centro. E sulla riforma della Giustizia trovata la quadra, "ma non cercheremo la fiducia in Parlamento".

Draghi: "Niente rimpasto, avanti così. Finita questa esperienza se vorrò trovarmi un lavoro lo farò da solo..."
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Il premier Mario Draghi conferma la fiducia al Governo nella sua attuale composizione, esclude un rimpasto di deleghe ed esclude di andare avanti al termine di questa esperienza, magari nel ruolo di federatore del centro: "Se vorrò trovarmi un lavoro lo farò per conto mio".

Draghi: "Il Governo va avanti così"

La conferenza stampa dedicata alla riforma della giustizia in realtà è stata anche - e soprattutto - il momento per fare il punto della situazione sull'attività del Governo. E sul futuro del premier, che dopo essere stato al centro di insistenti voci sul Quirinale, molti vedrebbero alla guida anche del prossimo Esecutivo. Ma per ora l'ipotesi - anche di essere una sorta di "federatore" dell'area centrista - non sembra scaldare particolarmente Draghi.

"Tanti politici mi candidano in tanti posti, mostrando una sollecitudine straordinaria. Vorrei rassicurare che se decidessi di trovare un lavoro dopo questa esperienza, un lavoro lo troverei da solo..."

E poi sul futuro immediato del Governo:

"Il dovere  è proseguire e affrontare sfide importanti per gli italiani che sono quella immediata del caro energia, quello meno immediata ma preoccupante che è l’inflazione che sta aggredendo il potere acquisto dei lavoratori ed erodendo, anche se per ora non si vede, la competitività delle imprese. E poi l’uscita dalla pandemia e  il Pnrr. La squadra di governo è efficiente e va avanti così".

Nessun rimpasto, dunque, e dritti sino alla fine della legislatura. Poi si vedrà.

 La riforma della Giustizia

Il tema principale era la riforma della Giustizia, definita "ineludibile" dal ministro Marta Cartabia sia per la scadenza degli incarichi nel Csm, sia per ripristinare la fiducia nella magistratura. Ecco quali sono gli aspetti principali del provvedimento, su cui la maggioranza ha faticosamente lavorato per trovare la quadra e sul quale "ci sarà pieno coinvolgimento delle forze politiche nei tempi giusti, senza tentativi di imporre la fiducia":

  • I componenti elettivi tornano a essere trenta: venti togati scelti dai magistrati e dieci dal Parlamento, come era prima della riforma del 2002. Tra i togati due saranno giudici di Cassazione, tredici giudici di merito e cinque pubblici ministeri.
  • Il sistema elettorale per i magistrati  diventa misto: quattordici consiglieri saranno scelti con il sistema maggioritario basato su collegi binominali, e verranno eletti i primi due per ogni collegio. Il quindicesimo (un pm) sarà il terzo più votato da individuare attraverso un calcolo ponderato, tenendo conto delle percentuali del bacino elettorale nei diversi collegi. Gli altri cinque saranno  scelti tra i giudici con un sistema di voto proporzionale su base nazionale.
  • Per le candidature non sono previste liste, ma ci si baserà su presentazioni individuali, senza necessità di raccogliere firme a sostegno. Per i cinque giudici da eleggere con il proporzionale ci potranno essere collegati tra candidati, ma non sarà obbligatorio.
  • Per quanto riguarda le nomine dei magistrati con incarichi direttivi o semidirettivi diventa obbligatorio procedere in ordine cronologico sulle sedi vacanti.
  • Basta "porte girevoli" con la politica: sarà vietato esercitare contemporaneamente le funzioni giurisdizionali insieme quelle legate a incarichi elettivi e governativi. I magistrati che sceglieranno di presentarsi alle elezioni non potranno farlo nelle regioni in cui hanno esercitato la funzione di giudice o di pubblico ministero nei tre anni precedenti. Chi si candida e non viene eletto dovrà trascorrere un periodo  di tre anni lontano dalle funzioni giurisdizionali prima di tornare a esercitarle. Idem  per chi viene chiamato a ricoprire incarichi apicali presso i ministeri, con il ruolo di capo di gabinetto, segretario generale o capo dipartimento.

 

 

 

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