Se ti licenzi tu, mi dimetto anche io: i fenomeni quietfluencer e quiet quitting
Fra chi fa il "minimo sindacale" e il rischio di un'epidemia di dimissioni.
Il mercato del lavoro sta attraversando importanti transizioni riflettendo in toto il cambio di mentalità e di esigenze a livello sociale. A indagare le nuove tendenze, restituendo un'istantanea del momento, è stata la terza edizione della ricerca “Global Workforce of the Future” di Adecco, storicamente attivo nei servizi dedicati alla gestione delle risorse umane.
Forse fate quiet quitting o rischiate l'effetto quietinfluencer... ma non lo sapete neanche, adesso esistono dei termini per definire un comune sentire che si sta affermando sempre più prepotentemente.
Quietfluencer e quiet quitting: cosa sono
Ciò che emerge è che i primi 9 mesi del 2022 sono stati segnati da una serie di fenomeni come la ricerca di un impiego che consenta un miglior bilanciamento tra vita professionale e privata, prediligendo l'aspetto di benessere lavorativo. Inoltre, in Italia, la molla che scatta per cambiare lavoro e migliorare la propria condizione economica è ancora legata a evidenti benefici economici.
L’inflazione galoppante pesa: nel nostro Paese il 61% dei dipendenti ritiene infatti che il proprio salario non sia sufficiente per affrontare l’aumento dei prezzi. Un problema che spesso porta ad accettare pagamenti in nero (35%), a ricercare un secondo lavoro (51%) o selezionare un nuovo lavoro perché offre uno stipendio più alto (49%).
Quiet quitting
Per la serie "parla come mangi", se sei insoddisfatto del tuo attuale ruolo e fai il minimo sindacale senza troppi slanci stai facendo quiet quitting. I dati della ricerca evidenziano una necessità di stimoli: anche perché un quarto della forza lavoro non ha mai ottenuto un confronto con il proprio datore su temi come aumento di stipendio. Il rischio è così quello del “quiet quitting”, letteralmente, “dimissioni silenziose”: indica la rinuncia all’impegno massimo sul posto di lavoro e un distacco mentale ed emotivo dall’attività quotidiana. Ciò indica l'urgenza di rimettere le persone al centro e la necessità di stimolarle, non soltanto in termini economici. Il rischio è di avere dipendenti come automi che potrebbero offrire energie, creatività, vigore ed entusiasmo ma, frustrati dalle condizioni in cui si ritrovano, inseriscono il pilota automatico.
Quitfluencer
Ma c'è un'altra tendenza ancor più in ascesa: considerando che a livello globale circa un terzo (27%) dei lavoratori cercherà di cambiare lavoro nei prossimi 12 mesi, tali esempi che potrebbero avere un effetto domino fra colleghi. Questo è il “quitfluencer”: 7 lavoratori su 10 ammettono che vedere i colleghi dimettersi li spinge a prendere in considerazione l’idea di imitarli (con un 50%che poi si dimette effettivamente).
I giovani cercano la qualità
Infine bisogna tenere in considerazione che le giovani generazioni si affacciano al mercato del lavoro e, rispetto ai colleghi più anziani, sono più attenti ai valori aziendali e abituati a modalità più flessibili.
E chi resta?
Quali sono, infine, le ragioni che portano un lavoratore a rimanere? I dipendenti italiani restano in azienda quando si sentono soddisfatti del proprio lavoro (40%), percepiscono una certa stabilità (38%) o un buon equilibrio tra vita lavorativa e privata (35%).