Quali sono gli altri extraprofitti che il Governo potrebbe decidere di tassare dopo le banche
Ci sono dei precedenti su petrolio ed energia (da Berlusconi a Draghi), ma non finì bene
La vicenda è di massima attualità. Il Governo, con una mossa a sorpresa, ha deciso di tassare i cosiddetti extraprofitti delle banche. Una scelta che ha suscitato un'immediata reazione non solo degli istituti bancari, ma anche dei mercati finanziari (il giorno seguente il decreto, martedì 8 agosto 2023) in Borsa sono stati bruciati quasi 10 miliardi di euro. Una scelta che però mette tutti (o quasi) d'accordo all'interno delle forze politiche. E anzi c'è pure chi sostiene che questa iniziativa si possa applicare non soltanto alle banche, ma pure ad altri settori. Ma quali sono gli altri extraprofitti il Governo potrebbe decidere di tassare?
Quali sono gli altri extraprofitti il Governo potrebbe decidere di tassare
Precisazione doverosa prima di cominciare. Siamo nel campo del "potrebbe", delle mere ipotesi. Al momento non c'è nessuna iniziativa neppure al vaglio.
A lanciare il sasso nello stagno è stato per primo il leader della Cgil Maurizio Landini, che è tornato alla carica con uno dei suoi grandi cavalli di battaglia, la tassazione degli extraprofitti appunto.
“Allora si può fare: è possibile tassare gli extraprofitti, come la Cgil richiede, pressoché inascoltata, da tempo. Adesso però il Governo, dopo questo passo indietro rispetto al ridimensionamento dell’imposta sugli extraprofitti deciso nell’ultima legge di bilancio, non si fermi a un provvedimento estemporaneo, ma estenda la decisione assunta sulle banche a tutte le imprese e i settori che stanno macinando risultati record, e riconsideri anche le recenti scelte fiscali tutte a vantaggio di imprese e profitti”.
Ma chi potrebbe finire dentro questo "calderone"? Landini già in passato aveva parlato genericamente di imprese, ma è evidente che non è possibile ipotizzare un intervento così generalista. Un'ipotesi potrebbe essere legata a quei settori che hanno avuto un'impennata eccezionale (da cui "extra") negli ultimi tempi. E dunque, principalmente, carburanti ed energia. Difficile pensare infatti che si possa andare oltre, tassando in maniera più pesante - ad esempio - gli operatori della grande distribuzione o dell'e-commerce.
Gli extraprofitti sull'energia (e il flop di Draghi)
Il recente passato ha però un precedente, firmato dal Governo Draghi, che non fa decisamente ben sperare.
La misura fu varata nel 2022 con il primo Decreto Aiuti e intendeva tassare più pesantemente gli introiti cresciuti a dismisura delle società energetiche.
Nel concreto si traduceva in una aliquota del 10%, poi ritoccata al 25%, da applicare non ai profitti (come nel caso delle banche) ma sul maggior margine imponibile Iva realizzato tra ottobre 2021 e marzo 2022. A condizione che, nel confronto col semestre ottobre 2020 - marzo 2021, il guadagno maturato fosse pari ad almeno il 10% e superiore a 5 milioni di euro.
Nelle stime la norma avrebbe dovuto portare nelle casse dello Stato 11 miliardi di euro. In realtà ne sono stati incassati solo 2,8.
La Robin Tax di Berlusconi e Tremonti
Qualcuno di voi si ricorda, andando ancora più indietro nel tempo, della Robin Hood Tax? Un nome chiaramente evocativo che richiamava l'eroe della foresta di Sherwood che toglieva ai ricchi per dare ai poveri, quello scelto dal Governo di Silvio Berlusconi oramai quindici anni orsono, quando il ministro dell'Economia Giulio Tremonti presentò un pacchetto di misure con l'obiettivo di tassare maggiormente chi guadagnava di più.
E si parlava sempre, tendenzialmente, di petrolio, energia e gas, per i quali era prevista un’addizionale all’Ires (Imposta sul reddito) del 5,5% che sostanzialmente annullava una precedente riduzione all’aliquota. In quel caso, la maggiorazione si applicava a tutti gli utili delle imprese del settore che avessero registrato ricavi maggiori di 25 milioni di euro nell’anno precedente.
La misura garantì nel biennio 2011-2012 un gettito stimato di circa 2,8 miliardi di euro, ma si scontrò ben presto con dei problemi burocratici. La Corte Costituzionale nel 2015 dichiarò incostituzionale la norma, in quanto aveva un impatto non soltanto sugli extraprofitti, ma sull'intero reddito delle imprese. E anche in questo caso, dunque, finì malissimo.