In Italia ci sono più ottantenni dei minori di dieci anni, superata la soglia
Presentato il 33° rapporto annuale: se cinquant’anni fa il rapporto era di 9 a 1 a favore dei bambini, oggi è nettamente invertito

Nella cornice istituzionale di Palazzo Montecitorio, il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, ha presentato ieri il 33° Rapporto annuale dell’istituto. Il documento fornisce una panoramica dettagliata dell’Italia nel 2024 e avanza proiezioni per il 2025, offrendo uno spaccato del profondo mutamento demografico e sociale che sta attraversando il Paese.
Un Paese che invecchia: i numeri parlano chiaro
L’Italia continua a invecchiare rapidamente. Nel 2024, le nascite hanno toccato un nuovo minimo storico: solo 370mila neonati in tutto il Paese. Al contrario, gli over 80 hanno raggiunto quota 4,6 milioni, superando numericamente i bambini sotto i dieci anni, che sono 4,44 milioni. Questo sorpasso simbolico evidenzia una trasformazione strutturale: oggi, per ogni bambino sotto i dieci anni c’è più di un ultraottantenne.

Il confronto con il passato è impressionante: se cinquant’anni fa il rapporto era di 9 a 1 a favore dei bambini, oggi è nettamente invertito. Anche rispetto a soli 25 anni fa, quando il bilancio era ancora di 2,5 bambini per ogni over 80, la situazione si è drasticamente ribaltata.
Cresce la quota di anziani e l’età media
Quasi un quarto della popolazione italiana – il 24,3% – ha oggi più di 65 anni, in aumento rispetto al 24% dell’anno precedente. Si tratta di oltre 14 milioni e 358mila persone. A fare notizia è anche il numero degli ultracentenari: oltre 22.500 a inizio 2024, con un incremento di 2mila unità in un solo anno.

Il progressivo invecchiamento si riflette anche nell’età media della popolazione, che ha raggiunto i 46,6 anni, con un incremento di circa tre mesi rispetto al 2023.
Significative le differenze geografiche: la Liguria si conferma la regione più anziana, con il 29% della popolazione oltre i 65 anni e il 10,3% sopra gli 80. All’opposto, la Campania resta la più giovane, con il 20,9% di over 65 e appena il 5,6% di ultraottantenni.
Popolazione attiva in calo, giovani sempre meno
Anche la fascia di popolazione in età lavorativa (15-64 anni) mostra segnali di contrazione: da 37 milioni 472mila a 37 milioni 447mila persone, restando comunque al 63,5% del totale. I bambini e ragazzi fino a 14 anni scendono invece dal 12,4% al 12,2% della popolazione.
Territorialmente, si osserva un’Italia divisa: il Centro e il Nord presentano percentuali di under 14 più basse (12,1% e 11,8% rispettivamente), mentre il Sud si mantiene più giovane (12,5%).
Meno morti, più aspettativa di vita
Il calo delle nascite non è l’unico elemento a incidere sull’invecchiamento demografico. Anche la riduzione dei decessi gioca un ruolo importante: nel 2023 sono stati registrati 661mila morti, 54mila in meno rispetto all’anno precedente. Questo calo ha interessato soprattutto gli over 80, i più colpiti negli anni della pandemia.
Il tasso di mortalità generale si è attestato all’11,2 per mille, in netta discesa rispetto al 13,5 per mille del 2020 ma ancora superiore al dato pre-pandemico del 2019 (10,6 per mille). Il motivo è semplice: più aumenta la quota di anziani nella popolazione, più il tasso di mortalità tende ad alzarsi.

In controtendenza, aumenta la speranza di vita alla nascita: nel 2023 ha toccato quota 83,1 anni. Le donne continuano a vivere più a lungo (85,2 anni) rispetto agli uomini (81,1), anche se questi ultimi hanno registrato un incremento maggiore rispetto all’anno precedente (+6 mesi contro +5 per le donne).
Non mancano, anche qui, le differenze regionali: in Campania la speranza di vita è la più bassa (79,4 anni per gli uomini, 83,6 per le donne), mentre l’Abruzzo detiene il primato con 80,6 anni per gli uomini e 85,5 per le donne.
Giovani in fuga e povertà diffusa
Oltre alla crisi demografica, l’Italia si trova a fare i conti con una situazione socioeconomica difficile. Il 23,1% della popolazione è a rischio povertà o esclusione sociale. Una condizione che colpisce con particolare durezza il Mezzogiorno, dove la quota sale al 39,8%. Qui la deprivazione materiale è dieci volte più elevata rispetto al Nord-Est.
Le famiglie con capofamiglia sotto i 35 anni sono tra le più colpite, segno che la precarietà grava soprattutto sulle generazioni più giovani. Questo disagio si riflette anche nella crescente emigrazione intellettuale: negli ultimi dieci anni, circa 97mila laureati hanno lasciato l’Italia, con un nuovo picco registrato proprio nel 2024.
Il sistema educativo non sembra in grado di invertire la rotta: nel 2023 solo il 65,5% della popolazione tra i 25 e i 64 anni aveva almeno il diploma, ben al di sotto della media europea del 79,8%.
Un futuro da ripensare
Il quadro tracciato dall’Istat non lascia spazio a dubbi: l’Italia sta affrontando una crisi demografica e generazionale che mette a dura prova la sostenibilità del sistema sociale ed economico. L’invecchiamento della popolazione, unito alla scarsa natalità, all’emigrazione giovanile e al divario territoriale, impone un ripensamento profondo delle politiche pubbliche.

Se non si interverrà con strategie mirate per sostenere la natalità, attrarre e trattenere i giovani talenti e ridurre le disuguaglianze, il Paese rischia di scivolare verso un futuro sempre più sbilanciato e fragile.
Andrà sempre peggio.La prossima sarà che ci sono più novantenni che giovani. Non faremo più figli Nemmeno uno. Fare figli con questi stipendi e con questo governo è un suicidio