Denatalità

Soldi, casa, lavoro, ma non solo: i motivi per cui gli italiani non fanno più figli (o li fanno molto tardi)

L'indagine dell'Osservatorio Unipol: per la maggior parte degli italiani le politiche per incentivare la natalità non funzionano

Soldi, casa, lavoro, ma non solo: i motivi per cui gli italiani non fanno più figli (o li fanno molto tardi)
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Di denatalità si parla da tempo. Non è un segreto che l'Italia abbia un problema da questo punto di vista. E al centro del dibattito c'è soprattutto il perché gli italiani fanno sempre meno figli (o non ne fanno proprio). L'osservatorio Unipol ha provato a dare una risposta a questa domanda.

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Gli italiani vorrebbero fare figli, ma...

La popolazione italiana 16-74 anni si divide quasi a metà tra chi ha figli e chi no. Tra chi non li ha, prevale il desiderio di averne (36%), soprattutto a Cagliari (47%) e a Torino (41%). Per un terzo di chi non li ha, avere figli non è, invece, un progetto di vita, intenzione che spicca a Napoli (4 su 10) e a Milano (34%). Tra i giovani della generazione Z (dai 16 ai 26 anni), il desiderio di avere figli è molto diffuso (55% di chi non li ha), ma è soprattutto un progetto di medio termine, cioè non prima di 5 anni (46%).

Secondo gli italiani che hanno figli o che li vorrebbero, l’ideale sarebbe avere 2 figli; Napoli e Verona pensano anche a famiglie più numerose, mentre Bologna spicca per il desiderio di un solo figlio.

Nelle generazioni, sono i giovanissimi della generazione Z a desiderare famiglie numerose, mentre la Generazione X (41-56 anni) si orienta maggiormente verso un solo figlio.

I figli si fanno sempre più tardi

Secondo quanto riporta il Ministero della Salute, nel 2021 l’età media della madre al primo figlio è di 33,1 anni per le italiane, mentre scende a 31 anni per le cittadine straniere. L’età media al primo figlio per le donne italiane, in quasi in tutte le Regioni, è superiore a 31 anni.

Per gli italiani l’aumento dell’età media in cui si fanno figli nel Belpaese origina soprattutto da motivazioni economiche, citato dal 58%, e svetta Torino con il 68%; è soprattutto il costo della vita, troppo elevato rispetto al reddito, a frenare.

Le motivazioni socio-culturali sono al secondo posto (52%): sopra media Milano (56%), Verona e Roma (54%).

Le motivazioni lavorative sono al terzo posto (50%), sopra media ancora una volta a Torino (54%). È diffusa la percezione di scarsa stabilità lavorativa, soprattutto nei primi anni, e anche la scarsa conciliabilità tra avere figli e perseguire obiettivi di carriera, pensiero che affligge soprattutto gli abitanti di Bari (24%) e Verona (22%).

La mancanza di una casa di proprietà è causa del ritardo nell’avere figli per l’11% degli italiani, ma rilevata maggiormente dagli abitanti di Napoli (22%), Milano e Roma (16% e 15%).

Tra le generazioni, soprattutto i Boomers (57-74 anni) attribuiscono l’aumento dell’età media della maternità a ragioni economiche e lavorative. Per la generazione Z prevalgono le motivazioni socioculturali (61%) rispetto a quelle lavorative (51%) ed economiche (50%) e i giovani sono i più convinti che oggi ci sia maggiore libertà di scelta se avere o meno figli rispetto al passato (24% rispetto a 2 su 10 delle altre generazioni). I giovanissimi sono anche più persuasi che oggi l’ingresso nel mondo del lavoro è ritardato visto il livello di istruzione più alto, e che questo contribuisca a rinviare la creazione di una famiglia.

Le differenze tra Nord e Sud

A differenza della percezione generale, che fa emergere le motivazioni economiche come primo ostacolo alla genitorialità, tra chi rimanda o non progetta di avere figli, la motivazione principale addotta attiene alla sfera lavorativa (35%), soprattutto nel Sud e Isole (44%), e in particolare la mancanza di un lavoro stabile è il primo deterrente in media nazionale, assieme alla inconciliabilità tra carriera e desiderio genitoriale.

Le motivazioni economiche sono la seconda motivazione del non volere figli (30%), ma diventano il primo deterrente per il Nord (34%), soprattutto per l’aumento del costo della vita in relazione al proprio reddito. I timori per il contesto socio-economico (economia, clima, situazione politica del Paese) sono il terzo ostacolo (24%), soprattutto al Sud e Isole, in cui costituiscono la seconda motivazione (28%).

La mancanza di supporto alle famiglie è un tema caldo specialmente per il Centro Italia (20% contro il 16% di media nazionale), che lamenta in misura più accentuata della media la scarsa offerta e la difficoltà di accesso a cure adeguate. Infine, non avere un partner incide per il 22% sulla scelta di non avere figli al Nord Italia (20% la media nazionale), insieme alla semplice volontà di non averne.

Le differenze tra generazioni

Le motivazioni lavorative ed economiche sono le principali cause del non avere figli soprattutto per la generazione Z (lavorative 46%     contro 35% di media) all’inizio della propria carriera, con un lavoro ancora poco stabile e con risorse finanziare non sufficienti per contrastare il caro vita. I giovanissimi sono anche i più preoccupati per il contesto socio-economico: la situazione economica del Paese e il cambiamento climatico non forniscono un ambiente ideale per mettere su famiglia.

La prima motivazione tra chi non progetta o rimanda avere figli nella generazione X è costituita dal fatto che la maternità o paternità non è tra i propri desideri e progetti (32% contro il 19% di media).

La percezione della volontà di creare una famiglia oggi rispetto al passato divide le generazioni. Per gli italiani più adulti e maturi (generazione X e Boomers), le coppie di oggi sono meno interessate ad avere figli rispetto a quelle di 30 anni fa (ritenuto da oltre il 70%). La generazione Z è meno convinta di questa differenza e per il 16% di loro le coppie di oggi sono, invece, più interessate ad avere figli dei propri genitori. A Torino e Milano è diffusa la convinzione che in passato il desiderio di mettere su famiglia fosse più diffuso, mentre Firenze, Bari, Cagliari e Bologna ne sono meno convinte.

Le conseguenze della denatalità

Secondo gli italiani la denatalità influirà negativamente soprattutto sul sistema pensionistico (37% ritiene che sarà molto colpito; 73%
molto o abbastanza colpito); ad esserne particolarmente convinti sono i bolognesi e cagliaritani (46% i molto convinti) e i veronesi (45%). Lo
spopolamento delle aree non urbane è la seconda area di possibile impatto della denatalità (29% chi ritiene sarà molto colpita tra gli italiani), ed è valutato un rischio soprattutto a Cagliari (36%) e a Firenze (32%).

La minore crescita del Pil è particolarmente temuta soprattutto a Bologna e Bari (28% contro il 22% di media nazionale). Cagliari e Firenze temono più della media il venir meno della gratuità e universalità del Sistema sanitario nazionale.

Le preoccupazioni circa le ricadute della denatalità crescono al crescere dell’età. Sono i Boomer, infatti, i più preoccupati per i rebound, sia sul sistema pensionistico (49% i molto preoccupati contro  il 37% di media), che sullo spopolamento della aree non urbane (33% contro 29% di valore nazionale) e per il venir meno del welfare sanitario (28% contro 21%).

Politiche per la famiglia insoddisfacenti

In generale, c’è insoddisfazione nei confronti delle attuali politiche a supporto della famiglia: un italiano su due le ritiene insufficienti. Verona, Napoli e Firenze accentuano i giudizi negativi. I boomers e la generazione X sono le generazioni più critiche. La generazione Z invece, è più positiva, ma comunque il voto medio espresso è di insufficienza.

Tra le iniziative anti denatalità, l’assegno universale per ogni figlio a carico e il rafforzamento delle politiche di sostegno per spese educative e scolastiche sono le più apprezzate dagli italiani, anche da chi ha figli.

L'assegno unico è ritenuto efficace soprattutto a Bologna (66% contro 58% di media nazionale) e a Milano (63%), mentre il rafforzamento del sostegno per spese educative e scolastiche è apprezzato   sia a Bologna che a Bari (entrambe 65% contro 58%). Introdurre incentivi al lavoro femminile piace maggiormente a Bari (66% contro 56% di media), ma anche a Milano (59%), come anche la possibilità di estendere i congedi parentali. Riformare i congedi parentali e il supporto a  un maggiore protagonismo degli under 35 sono, però, le misure ritenute un po’ meno efficaci, ma trovano maggiore favore tra la generazione Z e i boomers.

Il ruolo delle aziende

Anche le aziende hanno un ruolo nel favorire la natalità: per 6 italiani su 10 una maggiore flessibilità lavorativa potrebbe favorire la genitorialità in Italia. Sono particolarmente favorevoli su questo punto a Verona (67%) e a Torino (63%). In particolare, maggiore flessibilità di orario e la modalità di lavoro da remoto (tutto o in parte), potrebbero contribuire a contrastare la denatalità. Una ottimizzazione del mix di remote working è particolarmente gradita a Roma e Napoli (rispettivamente 31% e 33% contro 26% di media nazionale). La settimana lavorativa corta piace molto a Torino, Bologna e Verona (30% contro 24% di media nazionale).

Gli aiuti economici sono apprezzati soprattutto a Napoli (53% contro 46% di media) e a Milano (51%), principalmente tramite rimborsi per spese scolastiche o di baby sitting o per la cura e formazione dei figli. Istituire un asilo nido all’interno dell’azienda piace soprattutto
a Bologna e a Verona (38% e 36% contro il 30% di media Italia). Convenzioni con strutture private per la sanità piace soprattutto a Cagliari (25% contro 17% di media), Milano, Bologna e Bari (22%). Il coaching per agevolare il rientro al lavoro delle neo mamme risulta gradito soprattutto a Roma (12% contro 8% di media Italia).

Anche tra le generazioni la flessibilità lavorativa è l’incentivo ritenuto più efficace per contrastare la denatalità (soprattutto per i boomers: 65% contro 59% di valore medio nazionale), seguito dagli aiuti economici. Istituire un asilo nido all’interno dell’azienda piace a oltre un terzo della generazione X e a quasi 4 su 10 tra i boomers. Per la generazione Z sono importanti i rimborsi per spese scolastiche e di baby sitting, l’assistenza sanitaria integrativa e il coaching per le neomamme.

Il confronto con l'Europa

Il confronto con il panorama europeo fa emergere un giudizio molto critico: per quasi 7 italiani su 10 le politiche italiane di sostegno alla famiglia e alla genitorialità sono inferiori alla media di quelle del Vecchio Continente, in particolare per chi ha figli (73% contro 66% i giudizi critici) e i cittadini di Milano e Verona (69%). Cagliari, Bologna e Firenze sono invece più convinte che l’Italia sia allineata al contesto Europeo.

La criticità di giudizio verso il confronto con l’Europa sulle misure a supporto della famiglia aumenta con l’età: i boomers e la generazione X sono le generazioni più critiche, e rispettivamente il 75% e il 70%.

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