In Italia la settimana lavorativa di 4 giorni può diventare realtà?
In Europa sono molte le realtà che hanno già reso concreto questo modello, nel nostro Paese a che punto siamo?
Si fa un gran parlare della "settimana corta", ovvero lavorare un giorno in meno a parità di stipendio. Il tema della salute dei lavoratori è sempre più sentito, soprattutto nelle multinazionali che sanno quanto sia necessario avere un'attrattiva per i dipendenti che, sempre più, prediligono aziende che tutelino l'equilibrio tra lavoro e vita privata. In Europa sono molte le realtà che hanno già reso concreto questo modello in cui si lavora "soltanto" per 4 giorni, e in Italia a che punto siamo? Ma, soprattutto, a livello organizzativo, quali sono le possibili declinazioni pratiche di questo nuovo modello?
Settimana lavorativa di 4 giorni: un trend in crescita
Lunghe ore di lavoro hanno portato a 745.000 morti per ictus e malattie cardiache ischemiche nel 2016, un aumento del 29% dal 2000, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
L’orario di lavoro prolungato ora è noto per essere il responsabile di circa un terzo del carico totale stimato di malattie legate al lavoro, e come il maggiore fattore di rischio per le malattie professionali. Questo sposta il focus verso un nuovo fattore di rischio di tipo psicosociale per la salute umana. Purtroppo, il numero di persone che lavorano per molte ore è in aumento, attualmente pari al 9% della popolazione totale a livello globale.
Urge un'inversione di marcia. Anche in virtù del rendersi appetibili per i lavoratori che, dopo aver sperimentato modalità più flessibili di lavoro (complice la pandemia) prediligono le aziende più aperte in tal senso.
E' in questo contesto storico che si inscrive la possibilità di accorciare la settimana a 4 giorni lavorativi, mantenendo invariato lo stipendio. E se l'Europa sta già consolidando con successo questo nuovo trend, in Italia siamo ancora in "fase sperimentale".
Il caso svizzero e quello italiano
Vediamo qualche caso concreto nel nostro Paese e a pochi chilometri dal confine nostrano. E' caso del Ticino, dove si sta provando ad avviare un progetto pilota per una settimana lavorativa da 32 ore. L'obiettivo, come hanno spiegato i primi firmatari della mozione, è legato alla necessità di prevenire problemi di salute legati al lavoro. Dall’ultima indagine dello stress percepito sul lavoro in Svizzera (Job Stress Index2) è emerso che in media tre lavoratori su dieci (29%) soffrono di stress, con una situazione particolarmente preoccupante nei giovani fra 16 e 24 anni, tra i quali il tasso sale al 42%.
"Una riduzione dell’orario di lavoro e una più forte attenzione alle condizioni occupazionali può portare ad importanti benefici per salute e benessere ma anche per la produttività”.
Da qui la proposta.
La settimana corta invece in Italia è ancora poco diffusa (soltanto una manciata di aziende ha avviato progetti in tal senso), mentre in altri Paesi (Giappone, Spagna, Nuova Zelanda, Islanda, per citarne alcuni) sono stati lanciati progetti del genere, che hanno evidenziato anche parecchi aspetti positivi. Si tratta, fondamentalmente, di lavorare quattro giorni alla settimana, destinandone tre al riposo. In una settimana lavorativa di 4 giorni, dunque, il tempo dedicato al lavoro passa da 40 a 32 ore settimanali e il weekend si estende a tre giorni.
Alla Tria di Cologno Monzese, azienda metalmeccanica che produce macchinari per il recupero delle materie plastiche, la settimana corta è realtà. E senza riduzione di stipendio per i 65 dipendenti interessati dalla sperimentazione che durerà sette mesi. Il monte ore settimanale dal mese di gennaio è sceso da 40 a 36. Alle 13 di venerdì, quindi, tutti a casa. Compresi gli operatori del settore produzione della ditta. E l'ambizione è di proseguire su questa strada.
La scelta - che si basa sulla concessione di maggiore ore di Rol, i permessi retribuiti - è stata concertata con i sindacati e (ovviamente) con gli stessi lavoratori, che da questo mese hanno maggior tempo libero a loro disposizione, senza doversi preoccupare di vedersi proporzionalmente ridurre l'ammontare delle buste paga. Quest'ultime, infatti, sono rimaste inalterate.
La sostenibilità economica
Appurati i lati positivi di questa scelta per la salute, la domanda che ci si pone è se questa via sia realmente sostenibile e declinabile nella realtà delle aziende italiane come dimostrano le preoccupazioni avanzate da Confindustria: secondo l’organizzazione, l’unico modo per risollevare le sorti della penisola è solo quella di aumentarne la produttività. Altrimenti si rischia una recessione.
In realtà - dai risultati del progetto-pilota a cui hanno preso parte circa tremila dipendenti di 61 aziende britanniche che operano in diversi settori e che per sei mesi, da giugno a dicembre dello scorso anno, si sono impegnate a ridurre del 20% l’orario di lavoro per tutto il personale (32 ore lavorative), senza alcuna riduzione dello stipendio - i dati dicono il contrario. La stragrande maggioranza delle aziende, infatti, ha scelto di continuare con il nuovo modello: delle 61 che hanno effettuato la sperimentazione semestrale, 56 aziende hanno esteso la prova e di queste, 18 hanno deciso di implementare in modo permanente la settimana lavorativa di quattro giorni.
Tanti modelli
Importante è comprendere che questo nuovo approccio può essere declinato in modalità differenti, adattandosi alle esigenze specifiche dell'azienda. Esistono modelli molti diversi tra loro, che non possono essere confrontati. Un primo modello, sperimentato ad esempio da Intesa Sanpaolo, è quello che prevede l’accorciamento della settimana mediante una redistribuzione del quinto giorno lavorativo sugli altri quattro (con un’ora, o qualcosa in più, che si aggiunge a queste giornate lavorative). Un altro modello, molto diverso, prevede invece la cancellazione secca della quinta giornata lavorativa, senza riduzione degli istituti connessi (retribuzione, permessi, ferie, ecc.); è la strada scelta dal Gruppo Magister (che include aziende diverse come ALI e Repas Lunch) in via sperimentale per tutto il 2023. Ci possono essere, poi, modelli intermedi che combinano una parte di riduzione dell’orario e una parte di redistribuzione dello stesso.