Omicron contagia di più, ma fa ammalare meno: sui vaccinati sintomi simili al raffreddore
In ogni caso la variante può comunque mettere in ginocchio il sistema sanitario, sperando anche che non disincentivi la campagna vaccinale.
I primi studi e le prime evidenze sul campo sembrano confermarlo: la variante Omicron del Covid-19 sicuramente contagia di più (almeno cinque volte la Delta) e quindi si diffonde più velocemente, ma fa ammalare meno, cioè porta a un numero più limitato di ospedalizzazioni e a una forma meno grave della malattia. Per chi è vaccinato, soprattutto compresa la terza dose, in molti casi i sintomi sono più simili a quelli del raffreddore:
naso che cola e mal di testa invece che tosse, febbre alta e perdita di olfatto e gusto.
Il problema è che i sintomi finora individuati si basano su alcuni casi positivi e non su studi scientifici: non ci sono ancora dati affidabili pubblicati, bisogna aspettare.
Non resta che incrociare le dita, insomma. Ma tenendo sempre ben presenti due corollari:
- anche se meno grave, la malattia innescata da Omicron può comunque mettere in ginocchio il sistema sanitario, proprio perché la sua altissima contagiosità può in pochi giorni infettare un numero enorme di persone e percentualmente una parte finirà comunque, statisticamente, in ospedale;
- il rischio è che l'effetto meno grave di Omicron rafforzi le convinzioni di chi ancora oggi non ha intenzione di farsi vaccinare: pensare che il Covid ormai "non fa più niente" e che non serve più il vaccino sarebbe un grosso errore... soprattutto fino a quando non arriverà una nuova imprevedibile variante.
Sui vaccinati sintomi simili al raffreddore
La data zero della diffusione di Omicron fuori dal Sudafrica è universalmente considerata il 26 novembre: è passato poco più di un mese. E' troppo presto insomma per teorizzare una "convivenza pacifica" col Covid-19.
Al momento in molti casi distinguere Omicron da un semplice raffreddore è difficile: e infatti serve un tampone, anche da qui il caos degli ultimi giorni. Occorre farlo sicuramente se insorgono sintomi e almeno 4 giorni dopo il contatto con un positivo, oltre che per negativizzarsi.
Tosse, mal di gola, febbre riscontrati nella maggioranza dei contagiati sono sintomi comuni, ben diversi rispetto alla perdita di gusto e olfatto, alla febbre alta o alla tosse insistente, tralasciando l'insorgenza di polmoniti e i sintomi meno evidenti o di lunga durata del virus sugli altri organi del copro umano. Sembra un'influenza leggera e di breve durata (qualche giorno).
Ma del Covid sappiamo ancora troppo poco come malattia, e come non abbiamo capito bene come e perché la variante Delta colpisca in forma grave alcuni individui piuttosto che altri, lo stesso "terno al lotto" per il momento vale anche per Omicron.
Omicron contagia di più, ma fa ammalare meno
Nel Regno Unito, il progetto Zoe Covid tiene monitorato l’andamento della pandemia tramite un’app in cui i pazienti (circa 4 milioni) possono descrivere i propri sintomi. Come riporta il Guardian, la maggior parte degli utenti nelle ultime settimane ha segnalato naso che cola, mal di testa, senso di affaticamento, starnuti e mal di gola. Il 50% è risultato positivo al Covid. Uno studio condotto all’Università di Hong Kong, dice che Omicron sarebbe in grado di replicarsi velocemente nei bronchi (quindi in una parte più alta del tratto respiratorio), molto meno nel tessuto polmonare profondo.
Tra gli altri, anche l'immunologo Guido Silvestri della Emory University di Atlanta al Corriere ha parlato di un'infezione meno aggressiva e molto di rado ha conseguenze serie sui vaccinati, benché molto trasmissibile, e addirittura di "due malattie diverse", distinguendo gli effetti su chi non si vaccina ("L’80 per cento di ricoverati è No Vax: fanno pagare un prezzo alto agli altri e rischiano moltissimo loro stessi").
La cartina tornasole è come sempre la Gran Bretagna: con un milione di contagiati solo a Londra (nella realtà saranno probabilmente almeno il doppio) non c’è comunque emergenza ospedaliera, per il momento. Insomma, incrociamo le dita.
daniele.pirola@netweek.it