il diniego e la decisione

Fabrizio, 79 anni, è il nono malato costretto a recarsi in Svizzera per usufruire del suicidio assistito

La sua richiesta respinta in Italia, la battaglia legale, le parole d’addio: "Non mi piango addosso"

Fabrizio, 79 anni, è il nono malato costretto a recarsi in Svizzera per usufruire del suicidio assistito

“Non mi piango addosso. Sono determinato ad andare in Svizzera per finire questa vita”.

Così si congedava Fabrizio (nome di fantasia), 79enne ligure affetto da una malattia neurodegenerativa progressiva irreversibile, che lo aveva privato della parola e di gran parte della sua autonomia. Lunedì 22 settembre 2025 è morto in Svizzera, dove ha avuto accesso al suicidio medicalmente assistito.

A portarlo oltreconfine sono state due volontarie di Soccorso Civile, l’associazione di disobbedienza civile sul fine vita fondata e rappresentata legalmente da Marco Cappato: Roberta Pelletta e Cinzia Fornero.

Una vita ridotta a gesti e sofferenza

La malattia aveva reso Fabrizio incapace di parlare: comunicava solo con gesti e, con grande fatica, tramite un tablet. Era completamente dipendente da assistenza quotidiana continua. Alle difficoltà neurologiche si erano aggiunte una tromboembolia polmonare (in terapia) e un’insufficienza respiratoria che lo costringeva a ossigenoterapia durante il sonno.

Nonostante questo quadro, secondo il Servizio sanitario della Regione Liguria, l’uomo non dipendeva da alcun “trattamento di sostegno vitale”, requisito considerato imprescindibile per l’accesso al suicidio assistito in Italia.

Il diniego e la decisione

Fabrizio aveva chiesto la verifica delle sue condizioni a febbraio 2025. Dopo le visite della commissione medica, a maggio era arrivato il diniego della ASL. Con l’aiuto del collegio legale dell’Associazione Luca Coscioni, coordinato da Filomena Gallo, aveva presentato opposizione, chiedendo una rivalutazione alla luce della giurisprudenza costituzionale, che negli anni ha ampliato la nozione di “trattamento di sostegno vitale”.

Le nuove visite si erano svolte a luglio, ma nessuna risposta era mai arrivata. A quel punto, in condizioni di sofferenza per lui divenute intollerabili, Fabrizio aveva scelto di non attendere oltre e di andare in Svizzera.

Nelle sue ultime dichiarazioni citava Fernando Pessoa:

“La vita è un viaggio sperimentale fatto involontariamente. Siccome io non posso più sperimentare nulla, meglio cessare l’esistenza… Per me la vita è solo una sofferenza, bado solo a non soffrire troppo”.

Il quadro normativo in Italia: tra vincoli e battaglie legali

In Italia, l’aiuto alla morte volontaria non è regolato da una legge organica, ma dalla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, relativa al caso Cappato-Antoniani. La Consulta ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’articolo 580 del codice penale, aprendo all’accesso al suicidio assistito solo in presenza di quattro requisiti:

  • capacità di autodeterminarsi,

  • patologia irreversibile,

  • sofferenze fisiche o psicologiche giudicate intollerabili dalla persona,

  • dipendenza da trattamenti di sostegno vitale.

Questi requisiti devono essere verificati dal Servizio sanitario nazionale, con il parere dei comitati etici territoriali, e garantendo che la procedura sia dignitosa, sicura e priva di abusi.

Una successiva sentenza, la n. 135/2024, ha ampliato la definizione di “trattamento di sostegno vitale”, includendo anche procedure normalmente eseguite da caregiver e familiari, e chiarendo che il requisito può dirsi presente anche se il malato rifiuta quel trattamento.

Numeri e casi aperti

Ad oggi, 16 persone hanno ricevuto il via libera in Italia, ma solo 11 hanno potuto accedere effettivamente alla procedura. In parallelo, almeno 9 malati sono stati costretti a recarsi in Svizzera, accompagnati dagli attivisti di Soccorso Civile, spesso con successive autodenunce per disobbedienza civile.

Fra i casi più noti: Elena e Romano a Milano, accompagnati da Marco Cappato; Massimiliano a Firenze, assistito da Chiara Lalli e Felicetta Maltese; Paola a Bologna, affetta da Parkinson e Sibilla Barbieri, attrice romana, che dopo il diniego della sua ASL scelse la Svizzera, accompagnata dal figlio e da esponenti politici come Magi, Scalfarotto e Manconi.

Ora la lista comprende anche Fabrizio, con il suo viaggio interrotto dal diniego e dalla lentezza burocratica.

La campagna “Liberi Subito”

Per superare i ritardi e le incertezze delle ASL, l’Associazione Luca Coscioni ha lanciato la campagna nazionale Liberi Subito, con proposte di legge regionali per garantire tempi certi nelle verifiche e nelle risposte ai malati. Due regioni (Toscana e Sardegna) hanno già approvato la norma; in molte altre l’iter è in corso o bloccato.

Attualmente sono cinque i procedimenti giudiziari aperti in Italia: a Milano, Firenze, Bologna e Roma. La Corte costituzionale si è già espressa più volte, confermando l’apertura al suicidio assistito ma senza risolvere tutte le contraddizioni del quadro normativo.

La mossa del governo

Dopo annunci, rinvii e discussioni interne alla stessa maggioranza, è approdata in Senato, nel giugno 2025, una bozza di legge sul fine vitapromossa da Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Noi Moderati.

La proposta, pur non essendo ancora formalmente il testo base su cui costruire l’intera legge, contiene già le principali disposizioni e ha fatto molto discutere per il suo impianto normativo e per le implicazioni etiche che solleva.

Una delle principali novità consiste nell’introduzione dell’obbligatorietà del percorso di cure palliative per i pazienti che fanno richiesta di suicidio assistito. Questo punto riprende una delle condizioni poste dalla Consulta, che ha definito le cure palliative un “pre-requisito” per una scelta libera e consapevole.

Non solo: la legge prevede anche l’istituzione di un organismo di controllo sulla spesa regionale, con l’obiettivo di portare entro il 2028 la copertura del servizio al 90% degli aventi diritto. Attualmente, la situazione sul territorio nazionale è molto disomogenea, con vaste aree in cui l’accesso alle cure palliative è ancora gravemente insufficiente.

Altro nodo cruciale è la creazione di un Comitato etico nazionale, che dovrebbe valutare ogni singola richiesta di suicidio assistito. L’idea è di superare le attuali difformità territoriali e garantire un giudizio uniforme su scala nazionale. La nomina dei membri spetterebbe alla Presidenza del Consiglio, elemento che ha scatenato le critiche delle opposizioni, preoccupate per il rischio di centralizzazione politica e scarsa indipendenza.

Nel dettaglio, il Comitato, una volta ricevuta la richiesta del paziente, dovrebbe acquisire un parere non vincolante da parte di uno specialista della patologia in questione, ed emettere un responso entro 60 giorni, con possibilità di proroga in casi particolari.

Forse il punto più delicato è il coinvolgimento del Servizio sanitario nazionale (SSN) nella procedura di suicidio assistito. Secondo il testo, il SSN non dovrà direttamente somministrare o “erogare” le prestazioni finalizzate alla morte, ma dovrà comunque garantire che il paziente non venga abbandonato.

La necessità di una legge sul fine vita non è solo una questione politica: la Corte costituzionale ha sollecitato più volte il Parlamento a intervenire per colmare un vuoto normativo che costringe i giudici a decidere caso per caso.