fra i peggiori in europa

Cinque milioni di lavoratori in meno entro il 2040: la denatalità mette a rischio la tenuta del Paese

Nel 2080, potremmo ritrovarci con 312 anziani ogni 100 giovani

Cinque milioni di lavoratori in meno entro il 2040: la denatalità mette a rischio la tenuta del Paese
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Il crollo delle nascite in Italia è ormai un dato assodato. I principali istituti statistici, sia italiani che internazionali, hanno iniziato a quantificare in modo sistematico l’impatto economico e sociale della denatalità. I numeri parlano chiaro: l’Istat segnala che le nascite sono passate da 420.084 nel 2019 a circa 380.000 nel 2023, con un ulteriore calo previsto a 370.000 nel 2024. Un trend negativo apparentemente inarrestabile.

Cinque milioni di lavoratori in meno entro il 2040: la denatalità mette a rischio la tenuta del Paese
Denatalità

Se non si invertirà la rotta – e ad oggi non si intravedono segnali concreti in tal senso – la popolazione italiana potrebbe scendere dagli attuali 59 milioni a 54,8 milioni nel 2050, per poi precipitare a 46,1 milioni nel 2080. Il tasso di fecondità, attualmente a 1,18 figli per donna, è tra i più bassi d’Europa e ben lontano dal livello di sostituzione generazionale (2,1 figli per donna).

Il crollo delle nascite in Italia non è solo una questione di "culle vuote". È un problema sistemico che, se ignorato, rischia di compromettere la stabilità economica, la sostenibilità fiscale e la coesione sociale del Paese. Gli scenari futuri parlano chiaro: senza interventi decisi, il prezzo della denatalità sarà pagato da tutti.

Una popolazione sempre più vecchia e sempre meno attiva

Il primo effetto diretto della denatalità riguarda la riduzione della popolazione in età lavorativa (15-64 anni). Secondo l’Istat, il rapporto tra persone in età lavorativa e non lavorativa (bambini e anziani) è destinato a peggiorare drasticamente: da 3 a 2 nel 2023 a 1 a 1 nel 2050. In pratica, un lavoratore per ogni persona a carico. Entro quella data, le persone con 65 anni o più rappresenteranno il 34,5% della popolazione.

Questo squilibrio è già visibile confrontando le fasce d’età. Nel 2004, i giovani tra i 15 e i 34 anni superavano di 3 milioni gli over 50-74. Oggi la situazione è capovolta: ci sono oltre 4 milioni di persone in più nella fascia matura rispetto a quella giovane.

La scuola vuota: il primo campanello d’allarme

La denatalità impatterà in maniera evidente anche sulla scuola. Nell’anno scolastico 2025/2026 ci saranno 134.000 studenti in meno, con un passaggio dai 6,9 milioni del 2024/2025 a meno di 6,8 milioni. Se il trend continuerà, entro il 2034 la popolazione scolastica scenderà sotto la soglia dei 6 milioni. Meno studenti oggi significa meno lavoratori domani, un danno diretto al potenziale produttivo del Paese.

Cinque milioni di lavoratori in meno entro il 2040: la denatalità mette a rischio la tenuta del Paese
Scuole vuote

La carenza di giovani non è solo un problema demografico, ma anche una perdita di valore economico. La mancanza di competenze in settori strategici, dall’industria all’energia, genera già oggi un costo di circa 44 miliardi di euro in termini di mancato valore aggiunto. Secondo Bankitalia, entro il 2040 la popolazione in età lavorativa diminuirà di circa 5 milioni di unità, con una contrazione stimata del PIL dell’11% complessivo, pari a -8% pro capite.

Le stime dell’OCSE: scenario tra i peggiori d’Europa

L’OCSE non è meno allarmista. Tra il 2023 e il 2060, l’Italia subirà un calo del 34% della popolazione in età lavorativa, uno dei peggiori tra i Paesi membri. Il numero di anziani a carico per ogni persona in età attiva passerà da 0,41 a 0,76, cioè quasi un anziano ogni lavoratore.

La Ragioneria Generale dello Stato avverte che, nel 2080, potremmo ritrovarci con 312 anziani ogni 100 giovani. Un dato che rende evidente lo squilibrio generazionale che metterà sotto pressione sia il mercato del lavoro che il sistema previdenziale.

Il declino del PIL pro capite: l’Italia seconda peggiore in area OCSE

Anche mantenendo un modesto ritmo di crescita della produttività del lavoro (come nel periodo 2006-2019, con un tasso negativo di -0,31%), l’OCSE prevede che il PIL pro capite italiano calerà dello 0,67% all’anno fino al 2060. È il secondo peggior dato dell’intera area OCSE, dietro solo alla Grecia. In confronto, la media dell’area crescerà comunque dello 0,6% l’anno.

L’impatto sulla spesa pubblica: sanità, welfare, long-term care

Secondo il rapporto 2024 del Working Group on Ageing Populations and Sustainability (AWG), tra il 2022 e il 2070 aumenteranno significativamente i costi per sanità e assistenza a lungo termine:

  • Spesa sanitaria: dal 6,3% al 6,4% del PIL (+0,1 punti)
  • Long-term care: dall’1,6% al 2,1% del PIL (+0,5 punti)

I dati Istat stimano che, entro il 2043, il 40% delle famiglie sarà composto da una sola persona, con 6,2 milioni di over 65 (+38%) e 4 milioni di over 75 (+4%) che vivranno da soli.

Cinque milioni di lavoratori in meno entro il 2040: la denatalità mette a rischio la tenuta del Paese
Anziani soli

Nel complesso, la spesa per il welfare salirà al 25,1% del PIL nel 2043, per poi calare al 22,7% nel 2070, tornando su livelli pre-pandemici. Ma il picco sarà comunque difficilmente sostenibile nel medio periodo.

Giorgetti: “La denatalità è una minaccia strutturale”

Il 18 giugno 2025, durante un’audizione in Commissione parlamentare, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha lanciato un allarme chiaro:

“I fenomeni demografici influenzano produttività, lavoro, previdenza e servizi pubblici, generando ricadute dirette sul bilancio dello Stato. La denatalità è una delle principali problematiche strutturali del nostro Paese, con implicazioni dirette sulla sostenibilità del debito pubblico.”

Cinque milioni di lavoratori in meno entro il 2040: la denatalità mette a rischio la tenuta del Paese
Il ministro del Mef Giancarlo Giorgetti

Il ministro ha inoltre sottolineato che la transizione demografica avrà un peso rilevante anche sulla valutazione del rischio del debito sovrano da parte delle agenzie di rating, incidendo sulle stime di crescita futura e sulla tenuta dei conti pubblici.