In un'Italia sempre più vecchia l'aumento delle rette delle Rsa è un (grosso) problema. Il caso toscano e non solo
I costi ricadrebbero su 10 mila famiglie che pagherebbero 300 euro in più al mese: copione analogo in altre Regioni
Una popolazione sempre più anziana, contrapposta ad un inverno demografico che non vede primavere all'orizzonte. Una problematica che ipoteca il futuro dei cittadini. In questo scenario si aggiunge il tema dei costi delle Rsa che rappresentano, in molti casi, una risorsa irrinunciabile per accompagnare gli anziani, afflitti da patologie gravi, in una vecchiaia serena.
Se, da una parte, per Stato e Regioni contribuire alle spese dei ricoveri dei cittadini sta diventando pressoché impossibile, dall'altra le famiglie chiedono adeguamenti delle quote sanitarie in quanto, per molti nuclei, fronteggiare le rette dei ricoveri di parenti non autosufficienti, è pressoché impossibile. A ciò si aggiunge il peso dell'inflazione, che ha portato all'aumento delle rette stesse.
Si moltiplicano le problematiche in diverse regioni del Paese: i gestori di numerose Rsa toscane, per esempio, sono di nuovo sul piede di guerra e chiedono alla Regione il riconoscimento dei costi effettivi e un adeguamento della quota sanitaria.
Rsa: aumento delle rette, il caso toscano
Agitazione in Toscana intorno al complicato tema delle Rsa. I gestori minacciano che, in caso non siano ascoltati, si debbano aumentare le quote a carico delle famiglie di 5-6 euro al giorno da febbraio 2024 e di altri 5 euro nei mesi successivi. Sono almeno 10 mila le famiglie toscane che rischiano di dover pagare 300 euro in più al mese.
Come riporta Prima Firenze, secondo i gestori, infatti, la situazione attuale rischia di mandare in crisi gran parte del sistema che conta 320 Rsa, 15mila ospiti, 14mila dipendenti e un indotto di 50mila persone.
“L’accordo del settembre 2023 firmato dai gestori e dalla Regione prevedeva un aumento di 5,10 euro a ospite evidenziando però come queste risorse fossero insufficienti – hanno fatto sapere i rappresentanti delle Rsa toscane -. Come possono quindi bastare oggi, di fronte ai rinnovi contrattuali? Rimane inoltre irrisolto il riconoscimento delle spese del 2024, mentre ha poco senso l’impegno della giunta per ulteriori investimenti nel 2026/2027, oltre il proprio mandato”.
“I provvedimenti annunciati si inseriscono in un percorso condiviso, che prende le mosse dal convegno che, il 7 maggio scorso, ha visto insieme associazioni dei gestori, centrali cooperative e organizzazioni sindacali per tutelare congiuntamente qualità dei servizi e del lavoro in Toscana – ha risposto l'assessore al Sociale della Regione, Serena Spinelli -. Le risposte sono state costruite nel tempo e mantengono fede agli impegni presi. Non mancheranno comunque ulteriori occasioni di approfondimento. Dispiace che, a fronte di risorse aggiuntive per 22 milioni che la Regione mette a disposizione dei servizi sociosanitari, ancor prima di conoscere il testo, si pensi di poterlo commentare in questi termini”.
Levata di scudi anche da parte SPI CGIL, FNP CISL e UIL Pensionati della Toscana. I sindacati dei pensionati, in una nota, denunciano l’estrema gravità di queste prese di posizione, ribadendo che non accetteranno ulteriori aumenti delle rette, già oggi elevate, a scapito delle famiglie.
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Casi analoghi in Lombardia, Veneto e Piemonte
La problematica, come accennato, è radicata e nazionale.
L’aggiornamento fatto, nel 2023, dall’Osservatorio della Fnp Cisl Lombardia sulle 721 Rsa presenti sul territorio lombardo evidenzia come le strutture hanno aumentato la loro offerta di posti letto solventi, ovvero quelli con il costo complessivo a carico dell’utente, portando la dotazione complessiva a 8.388 unità (307 in più rispetto al 2022). Le rette medie giornaliere sono passate da 69,86 euro del 2022 a 72,93 euro del 2023. Non diminuiscono, però, le liste d’attesa.
Nel 2023, l'assessore al Welfare Bertolaso aveva annunciato 70 milioni di stanziamenti, promettendo ai lombardi il blocco delle rette. La risposta della più grande organizzazione di gestori non profit, Uneba, era stata secca:
"Ne mancano 200 per arrivare a quanto previsto dai Livelli essenziali di assistenza. Non ci viene riconosciuta neppure l'inflazione".
In Veneto, Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp Uil Veneto hanno realizzato un report sulla non autosufficienza in regione con focus specifici su rette, impegnative di residenzialità, standard di personale e strutture, fabbisogno di posti letto. I sindacati tuonavano:
"Rette in continuo aumento anche nel 2024, impegnative di residenzialità insufficienti con 4mila anziani veneti esclusi nel 2023 dal contributo regionale, carenza di posti letto, riduzione del tempo dedicato all’assistenza degli ospiti, liste d’attesa sempre più lunghe. La crisi delle case di riposo nella regione Veneto, emersa in tutta la sua drammaticità a partire dal Covid, fa crescere la preoccupazione dei sindacati dei pensionati Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp Uil del Veneto, impegnati in una battaglia unitaria che punta a un cambiamento di rotta da parte della Regione per evitare la tempesta perfetta nell’ambito di un problema, quello della non autosufficienza, che si fa sempre più critico con l’invecchiamento della popolazione e la crescita delle malattie croniche, soprattutto quelle legate alla demenza senile".
La ricerca realizzata da Spi, Fnp e Uilp del Veneto ha monitorato i costi delle rette di 216 centri servizi pubblici e privati sui 286 presenti in regione. Fermo restando che nell’anno in corso sono previsti ulteriori aumenti (che dipendono soprattutto dai rincari di prodotti alimentari e igienici, e che verranno monitorati nei prossimi mesi dal gruppo di lavoro), l’analisi conferma i costi spesso proibitivi per molti anziani, con differenze territoriali notevoli. Con impegnativa, la retta giornaliera più bassa è di 44 euro, la più alta è di 146 mentre quella media è di 62,17euro. Senza impegnativa si va dai 42 ai 168 euro, con una media di 85,54euro.
Problematiche significative anche in Piemonte. Nel marzo 2024, prima l'annuncio: è stato trovato un accordo con le strutture residenziali per anziani e disabili per aumentare del 3,5% la quota sanitaria a carico della Regione. Poi la reazione: i gestori non hanno firmato e chiedono modifiche: da tempo pretendevano riforme è un aggiornamento delle tariffe. Come è stato fatto però non è piaciuto. Né alle associazioni datoriali né ai dirigenti di struttura riuniti da 30 anni nell'associazione ARIA.
La presidente di ARIA Piemonte, Paola Garbella, aveva chiarito
"Avevamo già ottenuto adeguamento tariffe proprio a ridosso del periodo pandemico. poi però le cose sono peggiorate sia per quanto riguarda la gravità dell'utenza sia per quanto riguarda l'aumento dei costi".
Il modello non è più sostenibile, dicono. Dunque non basta l'aumento proposto a carico del pubblico, da 16 milioni di euro per l'anno in corso. C'è da pagare di più il personale, in virtù dell'atteso rinnovo dei vari contratti collettivi. Ed è una voce che incide per oltre il 65 per cento sui costi.
Il copione si ripete, pressoché identico, in tutte le Regioni del Paese.
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