Secondo uno studio, all'aperto è quasi impossibile il contagio da Covid-19
Un'eventualità "così limitata da essere statisticamente insignificante". Indagati anche i legami tra Covid ed inquinamento.
Un caso di contagio su mille all'aperto. Questi i numeri resi noti dall’Health Protection Surveillance Centre (HPSC) che ha il compito di monitorare la diffusione del coronavirus in Irlanda. La notizia ha avuto una eco molto importante, soprattutto in considerazione delle severe misure anticontagio vigenti anche in contesti outdoor.
La ricerca scientifica sull'argomento continua ad evolversi. Sul tema dei contagi all'aria aperta e dei possibili legami con l'inquinamento è arrivato anche un importante contributo di Arpa Lombardia in collaborazione con il Cnr.
Basse le possibilità di prendere il Covid all'aperto
Bassissime le possibilità di infettarsi all'aperto. Ciò non significa, ovviamente, che i contagi outdoor siano impossibili. Secondo quanto riferito dall’HPSC sarebbero 42 i focolai associati ad assembramenti all’aria aperta. La metà riguarda cantieri edili con 124 casi accertati e l’altra metà attività sportive e di fitness a cui sono legati 131 contagi anche se l’Ente ha specificato che "non è possibile determinare dove è avvenuta la trasmissione" con certezza.
Ed Lavelle, professore di biochimica al Trinity College di Dublino, ha commentato:
"Davvero una grande notizia che conferma molte delle prove provenienti dagli Stati Uniti, che hanno dimostrato che le attività esterne sono intrinsecamente sicure".
All’Università di Canterbury il professor Mike Weed ha revisionato 7500 casi di contagio in Cina e Giappone prima del lockdown concludendo che la trasmissione all’aperto era "così limitata da essere statisticamente insignificante".
Il virus all’aperto di dissolve velocemente e il rischio di contagio sono limitati. Con delle eccezioni, però: il rischio all'aperto è basso a patto che le persone si mantengano a distanza fisica ed evitino conversazioni ravvicinate, soprattutto a voce troppo alta.
Le ricerche nel mondo
A rafforzare questa tesi anche altri studi realizzati in varie zone del mondo. Una ricerca svolta in Cina, per esempio, che ha coinvolto 1.245 contagiati ha rilevato che solo tre casi erano attribuibili ad attività all’aperto, nello specifico una persona ne ha contagiate altre due chiacchierando per strada senza mascherina, si presume a distanza ravvicinata.
E' invece fra le mura domestiche che corre l’80% dei contagi (in linea con quanto segnalato anche in Italia dall’Istituto Superiore di Sanità), attenzione anche ai trasporti pubblici. Tutti i focolai che hanno coinvolto tre o più persone sono avvenuti in ambienti chiusi, a conferma che sono proprio gli spazi chiusi (e poco ventilati) a rappresentare un alto rischio di contagi.
Il parere dei nostri virologi
Sulla base di questi dati ci si chiede quindi se abbia ancora senso sfavorire anche le attività all'aperto o indossare la mascherina anche per strada. Il virologo Fabrizio Pregliasco ha chiarito che, seppure sia innegabile che i contagi avvengano maggiormente in luoghi chiusi, arrivati a questo punto della pandemia indossare la mascherina sempre è da considerarsi un’abitudine sociale, un fatto educativo e uni stile che garantisce uno standard alto di attenzione.
Ci consideriamo tutti potenzialmente infetti e con la mascherina garantiamo la protezione agli altri. Sulla questione è intervenuto anche Roberto Burioni, virologo dell'università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
"I dati indicano che il contagio all'esterno è molto raro. Perché, con l'arrivo della bella stagione, non riaprire subito bar, ristoranti e pure teatri all'esterno, non lesinando autorizzazioni? A me non dispiacerebbe cenare fuori o assistere a un concerto con il cappotto".
Anche in contesti outdoor la distanza va sempre tenuta d’occhio. Se si rinuncia alla mascherina (cosa non permessa al momento in luoghi pubblici all'aperto) si deve rimanere almeno a una distanza di un metro e mezzo.
La protesta degli ambulanti
Anche gli ambulanti hanno fatto loro queste analisi. Come ha raccontato Prima Milano, è sulla base di queste evidenze scientifiche che è nata la protesta del 9 aprile scorso. I venditori sono scesi in piazza perché, per via della zona rossa (che settimana scorsa era ancora in vigore in Lombardia) si trovavano costretti a rimanere a casa senza poter aprire i propri banchi durante i mercati settimanali.
Nella mattinata di venerdì 9 aprile 2021 gli esercenti non alimentari hanno allestito al mercato di via Crema a Milano una cinquantina di bancarelle a fianco di quelle dei colleghi che si occupano di alimentari, per dimostrare che i mercati all’aperto sono sicuri. Non hanno venduto nulla, ma si sono dati appuntamento per far sentire il proprio disagio. Sui banchi sono stati affissi dei cartelli:
“Scientificamente provato: all’aperto i contagi sono pari a zero”.
In linea con i dati diffusi dagli istituti di ricerca.
E l'inquinamento?
Rimanendo in tema di ciò che accade all'aria aperta, la prima ondata della pandemia da Covid-19, nell'inverno 2020, ha colpito in maniera più rilevante il Nord Italia rispetto al resto del Paese e la Lombardia, in particolare, è stata la regione con la maggiore diffusione. Perché la distribuzione geografica dell'epidemia sia stata così irregolare è ancora oggetto di dibattito nella comunità scientifica. Fra le tesi avanzate, vi è quella che mette in relazione la diffusione virale con i parametri atmosferici, ipotizzando che scarsa ventilazione e stabilità atmosferica (tipiche del periodo invernale nella Pianura Padana) e il particolato atmosferico, cioè le particelle solide o liquide di sorgenti naturali e antropiche, presenti in atmosfera in elevate concentrazioni nel periodo invernale in Lombardia, possano favorire la trasmissione in aria (airborne) del contagio.
Un recente studio, condotto dall'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac), sedi di Lecce e Bologna, e dall'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente-Arpa Lombardia, ha invece dimostrato che particolato atmosferico e virus non interagiscono tra loro. Pertanto, escludendo le zone di assembramento, la probabilità di maggiore trasmissione in aria del contagio in outdoor in zone ad elevato inquinamento atmosferico appare essenzialmente trascurabile.