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CORSIVO
"Rapito" di Marco Bellocchio, il caso Mortara e il potere temporale (mai estinto) della Chiesa: l'Irriverente commento di Simone Di Matteo
L'ultimo di una serie di capitoli irrisolti, le cui ragioni, però, sono sufficienti a spiegare le mancanze che la Chiesa mostra ancora oggi
"La Chiesa, insomma, è un’immensa azienda che vende solo un’ipotesi a fronte di uno spropositato potere economico e temporale, perché il prodotto venduto è solamente un ammorbidente dell’angoscia, una cura per un dubbio esistenziale" scrisse qualche anno fa, nel bel mezzo di una di quelle sue brillanti riflessioni sul senso della vita, l'istrionico conduttore televisivo Paolo Bonolis all'interno del suo libro Perché parlavo da solo (2019, Rizzoli).
Un'osservazione con la quale mi sento di concordare e che, se applicata ai molteplici (per non dire troppi) momenti bui che hanno caratterizzato la Storia della Chiesa di Roma sin dalla sua fondazione, può rivelarsi incredibilmente veritiera. Constatazione, quest'ultima, che ho giustappunto ravvisato nella nuova fatica cinematografica di Marco Bellocchio, Rapito, incentrata su uno dei casi di cronaca internazionale più vergognosi di cui l'immacolata istituzione pontificia sia riuscita a macchiarsi nel corso dei secoli.
Il caso di Edgardo Mortara in "Rapito": dov'è quel senso di comunità che la Chiesa è solita predicare?
Sebbene sia di comune usanza (storica) far coincidere la fine del potere temporale dei Papi con la breccia di Porta Pia e la presa di Roma avvenuta nel 1870, e di fatto lo è perlomeno sulla carta, i Vescovi che si sono alternati sul dorato seggio del Vaticano da quella data in poi non hanno mai smesso, seppur con opportuna discrezione e fare reazionario, di esercitarlo. D'altronde, è ampiamente risaputo che la Chiesa possieda (o pretenda di possedere) ancora oggi una notevole nonché determinante influenza sulla politica e sulla società, soprattutto in Italia dove, da un paio di mesi a questa parte, la destra salita al Governo pare ritrovare il punto di forza dei propri principi nei precetti inviolabili della Sancta Ecclesia.
Basti pensare al fatto che, dopo lo smantellamento dello Stato Pontificio, abbia mantenuto la propria sovranità sullo Stato indipendente e autonomo di Città del Vaticano. Oppure, alle continue ingerenze in materia di gestione della cosa pubblica e delle problematiche civili da parte della politica. O ancora, a quelle dichiarazioni che si sono susseguite negli anni e che di "inclusivo" hanno ben poco, eccezion fatta per le dichiarazioni di Papa Bergoglio a riguardo, nei confronti della comunità LGBT+ e di tutte quelle aggregazioni che non rispecchierebbero i classici canoni cattolici, pur non violando quelli dell'umana cristianità.
E infine, alla più recente proposta, prontamente respinta dal Presidente Volodymyr Oleksandrovyč Zelens'kyj, di fungere da mediatore diplomatico nella guerra tra Russia e Ucraina. Che per carità, non ci sarebbe nulla di male se ciò non contribuisse a a far luce, insieme alle altre cose, sul totalitarismo dogmatico (e decisamente anacronistico) e sulla completa mancanza di quel senso di comunità, che dovrebbe alle fondamenta della Chiesa stessa, che si celano dietro a determinati atteggiamenti. Aspetti, quest'ultimi, portati magistralmente sul grande schermo da Bellocchio, il quale però non si pone in una posizione di critica o accordo rispetto all'Istituzione. Al contrario, egli si limita unicamente a fornire una rappresentazione di fatti (storici) realmente accaduti.
Rapito, infatti, racconta la triste vicenda che ha (s)co(i)nvolto i Mortara, famiglia di origini ebraiche, nella Bologna del 1858. Edgardo, sesto di una progenie di sette fratelli, per ordine del Tribunale dell'Inquisizione, venne strappato ai genitori all'età di soli 6 anni dalla gendarmeria pontificia dell'allora Pontefice Pio IX, l'ultimo Papa-Re che la Storia abbia conosciuto e la cui pretesa di onnipotenza sarebbe dovuta essere sufficiente per evitarne la santificazione nel 2000 ad opera di Giovanni Paolo II, poiché fu battezzato in segreto da una domestica cattolica quando era appena nato. Le leggi dello Stato Pontificio in vigore a quel tempo, promulgate nientemeno che da chi si è sempre fatto portavoce di principi quali uguaglianza e fratellanza, prevedevano che persone di un Credo differente non potessero crescere i cristiani e di conseguenza i genitori del bambino persero la patria potestà. Certo, perché si è tutti figli di Dio a patto, però, che si rispettino delle norme ben precise!
Comunque, alla fine, il ragazzo, nonostante i vari tentativi dei familiari e della comunità ebraica di riportalo a casa a cui Pio IX si oppose strenuamente, crebbe a Roma, in collegio, dove venne ordinato sacerdote. Ma non solo. Divenne addirittura missionario di evangelizzazione per conto della Santa Sede, tant'è che se in un primo momento fu lui in persona a confessare alla madre, in un breve incontro a loro concesso, di recitare ancora le preghiere della liturgia ebraica, più tardi rifiutò di tornare da lei, cercando persino di convertirla.
Il rispetto delle regole e il mantenimento dell'ordine, dunque, erano (e forse continuano ad essere tutt'ora) le uniche cose che contavano davvero. L'amore, che sia quello di una madre o quello verso il prossimo, il medesimo sentimento continuamente sbandierato da chi ne dovrebbe fare le veci ma evidentemente scomparso con la dipartita del Messia, invece non poteva (e non può) di sicuro competere con la forza. E che dire dell'evidente manipolazione ai danni di Edgardo, degli ammiccamenti continui e della campagna di distorsione della realtà che fatto sì che il "falso" potesse vincere sul "vero"? Null'altro che disperati tentativi della Curia romana di rimanere aggrappata ad un privilegio e ad un potere che non avrebbe mai dovuto possedere e dal quale, forse, non è mai riuscita a distaccarsi una volta per tutte. Dopotutto, cosa ne è venuto fuori? Solamente uno scontro tra mondo cattolico e mondo ebraico senza vinti né vincitori, in cui un atto di ingiustizia, anche se fatto in nome di quelle che si ritengono (benché non lo siano) le più giuste ragioni, rimane un atto di ingiustizia!!!
Non ricordo che la supremazia, l'odio, la superbia, o peggio l'egoismo, rientrino tra quelle qualità che Gesù aveva ravvisato nei giusti di cuore. Eppure, per citare le parole di Bellocchio, da che mondo è mondo "la religione [e chi si erge a suo difensore, aggiungerei io] ha inevitabilmente qualcosa di intollerante. I dogmi vanno rispettati, senza i dogmi la religione muore" e questo capitolo irrisolto, al pari di altre vicende ben più attuali, ne è la più chiara dimostrazione!