Incredibile a Torino

Il nonno è morto di Covid-19, ma l'Asl telefona tre volte per sapere come sta

La figlia: “Se non fossi sicura che il titolare delle pompe funebri, amico di famiglia da oltre 30 anni, ha riconosciuto il corpo di mio padre, ora avrei forti dubbi sulla sua morte”.

Il nonno è morto di Covid-19, ma l'Asl telefona tre volte per sapere come sta
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Sembra uno scherzo. Una di quelle storie surreali di cui era maestro l'indimenticato scrittore Dino Buzzati. E invece è tutto vero. Non è solo l'ennesimo racconto di un anziano strappato alla propria famiglia, che non l'ha più visto dal giorno in cui è arrivata l'ambulanza a prenderlo ed è morto solo... E nemmeno di un intero nucleo familiare rimasto a stretto contatto con lui al quale (figurarsi) non è stato fatto neppure un tampone nonostante problemi di salute vari...

No, qui c'è di più. C'è il fatto che proprio mentre il defunto coniuge raggiungeva il forno crematorio, l'anziana moglie ha ricevuto una telefonata dall'Asl di Torino, che chiedeva come stava. E fin qui, di questi tempi, anche se non siamo nelle zone della Lombardia più colpite dal Covid-19, dove il sistema sanitario è andato al collasso, un errore ci può stare.

Il problema è che una settimana dopo è arrivata un'altra telefonata dall'Asl che chiedeva nuovamente come stava il pensionato ormai passato a miglior vita. Ma no, direte... impossibile. Più che altro impossibile è il fatto che il medesimo inumano copione sia andato in scena di nuovo anche il giorno dopo. E tre.

Ma non è finita, perché stavolta al danno s'è aggiunta la beffa: alla risposta della moglie (impossibile immaginare se più incredula, arrabbiata, disperata o rassegnata) che il paziente era morto il 31 marzo, l’operatrice ha ribattuto: “Ma come? A noi risulta che ha fatto un tampone il 7 aprile".

Basta, chiudete tutto.

Morto di Covid-19, ma l'Asl chiede come sta

Da Prima Settimo

E’ accaduto a Venaria Reale, Città metropolitana di Torino, dove si trova anche la famosa reggia. Giuliano Coppolaro è morto per Covid  a 75 anni la notte del 31 marzo 2020. A raccontare la sua storia è la figlia Dionea.

“Il 5 marzo un amico di papà si ammala di questo maledetto virus – racconta Dionea - I parenti avvisano che chi avesse avuto contatti con lui avrebbe dovuto contattare i numeri verdi per richiedere il tampone. E così fa, solo che non avendo nessun sintomo, nonostante la sofferenza per il diabete e per le apnee notturne, di tamponi nemmeno a parlarne. Il 10 marzo la situazione inizia a cambiare, subentra la tosse e spossatezza, tanto che la dottoressa inizialmente pensava al problema glicemico. Ma otto giorni dopo la situazione peggiora a tal punto che, non riuscendo quasi più a respirare, mia madre chiama il 112 – continua Dionea con rabbia mentre riaffiora il triste ricordo – I soccorritori sono arrivati indossando le tute protettive e allontanando mia madre, che avrebbe voluto salutarlo, tenergli la mano e poterlo abbracciare prima che lo portassero via. Le ultime parole che ha sentito uscire dalla bocca di mio padre son state quelle di custodire la collanina del fratello, poi nessuno di noi l’ha più rivisto”.

L'anziano viene portato in un primo momento all’Ospedale Maria Vittoria di Torino. E’ qui che viene sottoposto al tampone che conferma la diagnosi di Covid-19 e dopo due giorni trasferito in medicina d’urgenza dell’ospedale Martini dove rimane fino al 31 marzo.

“Non abbiamo più visto papà, i medici ci aggiornavano quotidianamente ma nessuno di noi poteva vederlo – continua il racconto tra le lacrime la figlia - Erano le 23,55 quando dall’ospedale ci danno la brutta notizia e di avvisare le pompe funebri per la restituzione della salma. Nessuno di noi l’ha potuto vedere, anche perché appena saputo che papà aveva contratto il coronavirus, tutta la famiglia si è messa in quarantena spontaneamente, da persone responsabili, poiché nessuno ancora oggi, ci ha mai prescritto un tampone, nonostante tutti noi siamo stati a stretto contatto e per di più mio fratello è affetto da alcune patologie”.

Morto da giorni, l’Asl telefona per sapere come sta

“A riconoscere mio padre – continua Dionea – è stato l’impresario delle pompe funebri, amico di famiglia. Papà è stato avvolto in due lenzuola e chiuso dentro una bara, il suo ultimo viaggio al monumentale l’ha fatto da solo senza nessuno di noi, senza gli amici e i parenti a lui cari”.

Ed è proprio mentre il feretro si avvia verso il crematorio che arriva una telefonata a casa della mamma dal centro tamponi dell’Asl.

“Per chiedere come sta papà. Anche se sconvolti, spieghiamo che è morto e che proprio in quel momento si stava avviando solo al forno crematorio. La cosa non ci stupisce più di tanto, il momento è di grande confusione per tutti e probabilmente nessuno li ha avvertiti, ma dopo nemmeno una settimana arriva una seconda chiamata che chiede della salute del papà. Mia madre ovviamente inizia a perdere le staffe, è disperata, ma accetta nuovamente le scuse per quell’errore, pregando l’operatrice di segnalare la dipartita”.

La terza telefonata…

Ma così sicuramente non è stato, visto che il giorno dopo alla famiglia Coppolaro arriva una terza chiamata, sempre dall’Asl di riferimento.

“Sembra assurdo, ma la domanda era sempre la stessa e alla risposta di mia madre che il paziente era morto il 31 marzo l’incredulità è stata da parte dell’operatrice che allibita risponde: “Ma come? A noi risulta che ha fatto un tampone il 7 aprile. Fortunatamente mia padre ha un carattere forte e il cuore ha saputo reggere, arrivando addirittura a credere che mio padre non fosse morto. Fortunatamente l’impresario delle onoranze funebri lo conosceva bene papà, altrimenti avrei pensato anch’io la stessa cosa. L’assurdo è che a noi nessuno ancora oggi chiede come stiamo, mentre hanno chiamato tre volte per chiederci come stesse papà che era morto da giorni.”

E sorge spontaneo anche chiedersi a questo punto a chi sia stato fatto il tampone il 7 aprile...

Dove sono finiti i nostri tamponi?

La preoccupazione per Dionea e la sua famiglia ora è pensare alla Fase 2.

“Parlano di ripartire ma sinceramente come si fa, se fanno tamponi intestati a persone già decedute e magari non riescono a comunicare l’esito ai pazienti a cui li hanno fatti davvero? Come potremmo essere sicuri di non essere stati noi stessi contagiati e le domande che mi assillano per la testa sono tante. Saremo guariti, chi può sapere se dopo la quarantena volontaria siamo immuni? Noi facciamo veramente i complimenti a tutti i sanitari che stanno dando la loro vita per riuscire a salvare quella degli altri, ma di certo da parte della burocrazia vige solo tanta incompetenza, ci hanno lasciati soli senza preoccuparsi a farci un tampone. Ad oggi non risultano i nostri dati ci comunicano, nonostante le richieste fatte, dove sono finiti i nostri dati?”.

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