Fatima cerca lavoro ma la rifiutano: “Il suo nome mi dice che è araba, nulla da fare”
Nessuna valutazione da parte del datore di lavoro circa la sua capacità, professionalità, bravura o puntualità, è bastato il suo nome per innescare una reazione razzista.
Un episodio di discriminazione dalla provincia di Rovigo, in Veneto. Una giovane di nome Fatima ha deciso di rispondere a un annuncio di lavoro come donna delle pulizie ma, essendo araba, è stata vittima di razzismo.
La sua colpa? Il nome
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Inutile negarlo, siamo nel 2020 e ormai ci si aspetta anche da parte dei datori di lavoro una mentalità libera da ogni pregiudizio o discriminazione, purtroppo però non è così. E lo sa bene Fatima, 25 anni, residente in provincia di Rovigo che sta cercando lavoro e, cercando tra gli annunci ha deciso di rispondere a uno per un posto da “donna delle pulizie” ma, nel momento in cui tramite un messaggio Whatsapp si è presentata e ha chiesto se il posto fosse ancora disponibile, le è stato risposto “Il suo nome mi dice che lei è araba. Quindi, niente da fare”.
La denuncia
Non sono quindi le abilità e le competenze di Fatima che non le hanno “permesso” di accedere alla selezione come donna delle pulizie, ma il suo nome. Una grave forma di discriminazione che non dovrebbe nemmeno più esistere nel 2020. Fatima, giustamente indignata, ha deciso di rivolgersi all’avvocato Cathy La Torre che, attraverso il suo profilo Instagram ha pubblicato il video dove Fatima denuncia l’accaduto:
“Sono Fatima ieri rispondendo a un annuncio di lavoro, presentandomi e chiedendo se l’annuncio era ancora disponibile ho ricevuto come risposta: ‘Il suo nome mi dice che lei è araba quindi nulla da fare’. E’ una discriminazione a tutti gli effetti. Ho deciso di rivolgermi all’avvocato Cathy La Torre, invitandovi tutti a non lasciar stare questi episodi se ne siete vittime, è pura discriminazione, siamo tutelati dalla legge alla quale possiamo rivolgerci”.
Giudicare in base alla propria origine
L’avvocato Cathy La Torre sul suo profilo Instagram ha dichiarato:
“Fatima, per quel lavoro, non va bene. Non perché ci sia stata, alla base di questo giudizio, una valutazione della sua capacità, professionalità, bravura, puntualità o tutti quei criteri che dovrebbero interessare un datore di lavoro. Invece NO. Ti chiami Fatima? Allora sei araba. E se sei araba NIENTE DA FARE! Come lo chiamate giudicare qualcuno sulla base della sua origine? Immaginate se vi dicessero: Giovanna è un nome italiano, sei italiana, allora NIENTE DA FARE! Grideremmo al razzismo e avremmo ragione di farlo. Perché è razzismo. E infatti Fatima davanti a quella insopportabile discriminazione non ha abbozzato. E prima ha risposto (venendo bloccata). Quindi ha deciso di muoversi per le vie legali, chiedendomi assistenza. Bene. Adesso vedremo se un nome può essere un elemento sufficiente a negare o dare un posto di lavoro a un essere umano. Lo vedremo in Tribunale, ma a voi chiedo di raccontare la storia di Fatima, perché la sua storia è quella decine di migliaia di altre donne e uomini. Discriminati, per un nome, un velo, un’origine, il colore della pelle, o qualsiasi altra cosa faccia dire un NO a priori un NO che condanna al pregiudizio per tutta la vita. Ma questa volta NO lo dice Fatima”.