Covid-19: letalità più alta dove c'è maggior inquinamento e fra i fumatori
Diversi studi di università mondiali confermano i rischi ulteriori nei pazienti esposti a polveri sottili e sigarette.
Ormai, l'abbiamo ampiamente capito avendo a che fare ormai da un mese e mezzo con questa brutta malattia: respirare bene è cruciale. E a questo proposito, l'inquinamento e il fumo si confermano due fattori che amplificano la letalità di Covid-19. Se, in relazione al primo fattore di rischio, non è certo pensabile di poter agire in prima persona ponendosi nell'immediato in contesti più "sicuri" (soprattutto per chi vive in Pianura Padana), per ciò che concerne la questione sigarette, invece, questa emergenza sanitaria potrebbe essere l'occasione giusta per dire addio a un vizio comunque notoriamente pericoloso.
Covid-19 e inquinamento: lo studio dell'Università di Harvard
Una ricerca dell’Università di Harvard, guidata dall’italiana Francesca Dominici, una delle massime autorità sull'argomento, conferma un sospetto già avanzato: gli effetti di Covid-19 sono più letali nelle zone dove c’è un maggior inquinamento atmosferico da polveri sottili. E in maniera significativa: si parla del 15/20% in più di possibilità di contrarre la malattia in una forma grave.
Per polveri sottili si intendono le micro particelle inquinanti e cancerogene prodotte dagli scarichi industriali, delle auto e dei riscaldamenti, che riescono a penetrare negli alveoli dei polmoni e poi nel sangue, danneggiando l'organismo.
Questo studio, a differenza dei precedenti, aggiunge solide base numeriche ai lavori sul tema precedenti, utilizzando calcoli statistici su grandi quantità di dati per la ricerca medica e biologica: si tratta della cosiddetta "biostatistica" e non si limita stabilire semplici correlazioni, ma vere e proprie associazioni fra dati significativi.
Tante morti in Lombardia probabilmente anche per questo
La dottoressa Dominici, in base ai suoi studi, conferma che coloro che vivono per decenni in un luogo con alti livelli di particolato hanno maggiori probabilità di sviluppare sintomi gravi. Se già era noto che l’esposizione di lungo periodo al microparticolato causasse infiammazioni ai polmoni e problemi cardiocircolatori ora si aggiunge l'altro tassello: le persone con problemi al sistema respiratorio e cardiocircolatorio contagiate da Covid-19 hanno un tasso di letalità più alto.
Lo studio è stato fatto su dati relativi agli Stati Uniti, ma la casistica potrebbe aiutare a spiegare spiegare quanto è successo in Italia: la Pianura Padana è una delle zone più inquinate d’Europa e del mondo, ciò potrebbe aver avuto un ruolo anche nell’alto numero di vittime lombarde. Lo ha confermato anche la scienziata.
Ma lo studio può essere utile anche per coloro che devono organizzare la risposta sanitaria all’epidemia, soprattutto nelle zone altamente inquinate dove non sono ancora esplosi i contagi. Lo studio è in attesa di revisione e di pubblicazione, ma nel frattempo il team ha reso pubblici i dati proprio al fine di permettere alle istituzioni in ogni parte del mondo di organizzarsi sulle basi di queste conoscenze.
Covid-19: esiti più infausti per i fumatori
Un altro studio condotto invece alla British Columbia University e al Saint Paul’s Hospital di Vancouver, in Canada, mostra che i fumatori e coloro che soffrono di broncopneumopatia cronica ostruttiva hanno tendenzialmente livelli elevati di una molecola chiamata “enzima di conversione dell’angiotensina II”.
Diversi studi riconoscono questa molecola come un punto d’accesso che consente a Covid-19 di entrare nelle cellule polmonari e causare l’infezione. I livelli di ACE-2 negli ex fumatori sono decisamente più bassi rispetto a quelli presenti negli attuali fumatori: perciò smettere è importante. Non vi sono ancora dati, invece, sulla possibilità di manipolare i livelli di ACE-2 per migliorare la sopravvivenza nei pazienti con infezione da COVID-19.