Eurovision 2024: avranno pure vinto Svizzera e comunità LGBT, ma in Italia è andata in scena la “morte” del pensiero contemporaneo – L’Irriverente commento di Simone Di Matteo
In seguito al trionfo dell'artista svizzero Nemo, di tutto si è parlato fuorché di musica!
La musica è sempre stata, rimane e continuerà ad essere una di quelle forme di espressione artistica in grado di dare una voce al silenzio, di unire perfino i più divisivi e di avvicinare quanto di più lontano possa esistere in quest’epoca di digitali speranze e multimediali illusioni.
Perché in fondo, come postulava l'antico filosofo Severino Boezio nei primi secoli d.C., "la musica è parte di noi" e ci permette di esplorare quei lati dell'io o del mondo circostante di cui non eravamo, volenti o nolenti, minimamente a conoscenza. Insomma, uno strumento potente che potrebbe farsi portavoce di numerosi valori. E in effetti, a pensarci bene, è esattamente ciò che fa. Peccato solo, però, che quest’aspetto, insieme a quella che sarebbe dovuta essere la protagonista dell'edizione 2024 dell'Eurovision Song Contest, sia stato soppiantato dalle polemiche di chi è sempre pronto puntare il dito e mai a guardarsi per un attimo allo specchio.
Aberrazioni: ma l'Eurovision non parlava di musica e unione?
È stata la Svizzera, seppur con mio grande dispiacere per Angelina Mango e la sua Noia arrivate soltanto settima in classifica, ad aggiudicarsi il podio del Concorso Eurovisione della Canzone grazie al cantante, rapper e polistrumentista dichiaratamente non-binario Nemo e al brano The Code, un inno alla consapevolezza, all’accettazione del diverso, all’incontro con l’altro e alla libertà di essere se stessi.
Tuttavia, se da un lato la sua vittoria è stata motivo di orgoglio e speranza per il suo Paese nonché per tutta la comunità LGBT+, dall'altro è stata per tanti una buona scusa per fornire nuova linfa vitale ad improbabili teorie e disumane ideologie che di moderno, giusto o civile non hanno proprio un bel niente. Se poi a tutto questo affianchiamo la polemica riguardo alla partecipazione di Israele, la diatriba sull'assenza di bandiere dell'Unione Europa (nemmeno se agli Oscar gli stendardi statunitensi venissero esposti ad ogni angolo del Dolby Theatre) e le esternazioni di molti esponenti politici, possiamo dire con assoluta certezza che in seguito alla manifestazione di tutto si è parlato fuorché di musica e del suo significato più intrinseco. O perlomeno, è così che è andata qui in Italia!
L’ex generale Roberto Vannacci, ad esempio, ha commentato il trionfo svizzero nel contest paneuropeo al grido di “il mondo al contrario è sempre più nauseante”, augurandosi che Nemo non venga eretto a “modello da far assurgere alla normalità” e vaneggiando di una fantomatica “dittatura del pensiero unico” neanche se non fosse lui a imporre i propri “precetti ideologici” tacciando il dissenso di “censura” e di fatto censurando lui stesso qualunque idea discostante. Per di più, evidentemente non contento, ha voluto aggiungere che il cantante svizzero incarnerebbe “un modello che nella realtà non è facile incontrare”, mostrando dunque una completa disconnessione con la società che lo circonda.
Allo stesso modo il consigliere comunale leghista di Lissone Matteo Lando, il quale ha reagito ai risultati del voto del pubblico con un sonoro “più fai schifo, più vai di moda”.
E che dire di Amedeo Minghi, quello che “non sono bigotto ma”? Da qualcuno che di arte dovrebbe intendersene qualcosa, non mi sarei mai aspettato di sentire affermazioni del tipo “ha vinto uno svizzero con la gonnellina” e “C’era anche uno che ha cantato tutto nudo. Ma non era un continente cristiano?”.
Infine, vorrei sorvolare sui fischi riservati all’artista israeliana dal momento che le colpe di un fanatico, che porta avanti un massacro dinanzi agli occhi inermi del mondo, non possono ricadere solamente sulle spalle di una donna che, in occasione dell’Eurovision, stava semplicemente facendo il suo lavoro. Perché, intendiamoci, è vero che la musica può e deve parlare alla (e della) società che rappresenta, ma questa non è una condizione necessaria e sufficiente affinché la si possa considerare arte. Al contrario, la musica può e deve dar vita finanche a ciò che non siamo, parlare di quel che dovremmo o saremmo potuti essere senza che sia, ad ogni costo e in maniera esplicita, civilmente e politica impegnata, permettendoci di esplorare un mondo che, alla luce delle premesse attuali, purtroppo non sorgerà mai!