Ci sono materiali che invecchiano in silenzio, senza dare segnali evidenti, ma che nel tempo possono trasformarsi in una minaccia concreta per la salute. L’amianto è uno di questi. Nonostante il suo utilizzo sia stato vietato in Italia all’inizio degli anni Novanta, è ancora oggi presente nelle coperture di migliaia di condomini, capannoni industriali e stabilimenti produttivi. Lastre ondulate in eternit, tetti, controsoffitti e vecchi manufatti continuano a far parte del paesaggio urbano e produttivo, spesso senza destare preoccupazione. Eppure, con il passare degli anni, questi materiali si deteriorano, si sfaldano e rilasciano fibre invisibili che, una volta inalate, possono avere conseguenze gravissime.
Un’emergenza ancora attuale
Nel rapporto pubblicato a ottobre 2025, l’INAIL ha confermato che l’emergenza sanitaria legata all’amianto non è affatto superata. I dati hanno mostrato come, nel quinquennio 2020–2024, siano stati riconosciuti in media 1.160 nuovi casi all’anno di malattie asbesto-correlate di origine lavorativa. Di questi, il 41% ha avuto esito fatale. Il mesotelioma, tumore maligno che colpisce prevalentemente la pleura, ha rappresentato circa il 40% dei casi complessivi. Secondo le proiezioni, il picco di mortalità non è atteso prima del 2030, a causa della lunga latenza che caratterizza queste patologie.
Un rischio che riguarda tutti
L’amianto non è stato utilizzato solo in ambito industriale. Nel corso dei decenni è entrato nelle abitazioni private, nei condomini, nei garage, nei depositi e nelle pertinenze domestiche. Questo significa che il rischio non riguarda esclusivamente i lavoratori, ma l’intera collettività. La normativa vigente impone l’intervento di bonifica solo quando il materiale risulta friabile o danneggiato, ma attendere che una copertura ceda o si deteriori visibilmente significa esporsi a un pericolo evitabile. Le fibre, infatti, possono disperdersi nell’aria anche prima che il danno sia evidente a occhio nudo.
La prevenzione come unica strategia efficace
Censire, mappare e rimuovere l’amianto rimane la forma più efficace di prevenzione primaria. Non esistono soglie di esposizione considerate sicure e non esistono cure risolutive per molte delle patologie correlate. Agire prima che il materiale diventi un problema evidente consente di tutelare la salute pubblica e di ridurre drasticamente il rischio di nuove esposizioni. La prevenzione, in questo ambito, non è solo una scelta tecnica, ma un atto di responsabilità verso chi vive e lavora negli spazi interessati.
Bonifica: un intervento regolamentato e necessario
Ogni intervento di bonifica dell’amianto deve essere affidato esclusivamente a imprese abilitate, iscritte all’Albo nazionale dei gestori ambientali. È necessario predisporre un piano di lavoro dettagliato, da sottoporre all’approvazione dell’ASL competente, adottare dispositivi di protezione adeguati e garantire la tracciabilità dello smaltimento dei materiali rimossi. Si tratta di un’operazione complessa, che richiede competenze specifiche e il rispetto rigoroso delle norme, ma che rappresenta un passaggio fondamentale per la messa in sicurezza degli edifici.
Incentivi e responsabilità collettiva
Oggi esistono anche strumenti economici che favoriscono la rimozione dell’amianto. Bandi pubblici come l’ISI INAIL hanno finanziato fino al 65% delle spese sostenute per la bonifica e il rifacimento delle coperture, offrendo un supporto concreto a imprese e proprietari. Tuttavia, al di là degli incentivi, è il senso di responsabilità a dover guidare le scelte. Rimuovere l’amianto non significa solo intervenire su un tetto o su una struttura, ma contribuire attivamente alla tutela della salute collettiva. Ogni lastra rimossa equivale a una fibra in meno nell’aria. Ogni edificio bonificato rappresenta un passo avanti verso un ambiente più sano e sicuro. Prima si interviene, prima sarà possibile ridurre l’impatto delle malattie asbesto-correlate. La salute non si misura soltanto nei numeri dei rapporti statistici, ma anche nei gesti concreti. E la rimozione dell’amianto, dove ancora è presente, resta uno di quei gesti capaci di fare davvero la differenza.