La guida OMS contro lo stigma sociale per il Coronavirus
Le parole usate nella comunicazione del nuovo coronavirus possono generare stereotipi e avere un impatto negativo su chi viene colpito dalla malattia
E’ stata diffusa la guida OMS contro lo stigma sociale per il Coronavirus. L’Organizzazione mondiale della sanità, in collaborazione con IFRC (International Federation of Red Cross e Red Crescent Societies) e Unesco, ha messo a punto una guida per prevenire e affrontare lo stigma sociale associato a Covid-19, rivolta alle istituzioni governative, ai media e alle organizzazioni locali che lavorano nel campo della nuova malattia da coronavirus.
La guida OMS, che cos’è lo stigma sociale?
“Lo stigma sociale, nel contesto della salute, è l’associazione negativa tra una persona o un gruppo che hanno in comune caratteristiche e una specifica malattia - si legge nel documento -. In una epidemia, ciò può significare che le persone vengono etichettate, stereotipate, discriminate, allontanate e/o sono soggette a perdita di status a causa di un legame percepito con una malattia”. Perché il Covid-19 sta causando tanto stigma? I motivi sono tre: è una malattia nuova di cui si sa ancora poco; le persone hanno spesso paura dell’ignoto; ed è facile associare questa paura agli “altri”. Qual è l’impatto? “Può minare la coesione sociale e può indurre a un isolamento sociale dei gruppi” spiega la guida dell’Oms. Da qui il rischio di una di una maggiore probabilità di diffusione del virus e, di conseguenza, di una maggiore difficoltà a controllare l’epidemia.
Come affrontare lo stigma sociale?
Si raccomanda innanzitutto l’utilizzo di un linguaggio inclusivo (comprensibile e adatto alla gente in tutti i canali di comunicazione) e rispettoso delle persone. Per esempio, quando si parla di Covid-19, la malattia non va associata a luoghi o etnie (un “virus di Wuhan”, un “virus cinese” o un “virus asiatico”). Il nome ufficiale scelto dall’OMS (Covid-19) evita proprio questo rischio di stigmatizzazione. Bisogna poi evitare di parlare di “casi sospetti”, preferendo l’espressione “persone che potrebbero avere Covid-19”. Fondamentale è trattare il rischio derivante dalla malattia sulla base di dati oggettivi e scientifici senza ripetere o condividere voci non confermate e senza usare un linguaggio sensazionalistico e iperbolico che genera paura.
Cinque consigli utili
Per alimentare una solidarietà collettiva e diffondere informazioni chiare e corrette, ecco alcuni suggerimenti rivolti agli esperti di comunicazione:
1. correggere falsi miti e stereotipi
2. promuovere l’importanza della prevenzione, delle azioni salvavita, dello screening precoce e della cura
3. condividere racconti che generano empatia o storie che umanizzano le difficoltà delle persone colpite dalla malattia
4. comunicare supporto e incoraggiamento per tutti quelli che sono impegnati nella risposta a questa epidemia (operatori sanitari, autorità, volontari)
5. scegliere le parole con attenzione