Sì agli anti-abortisti nei consultori... ma il sostegno per le coppie che non riescono ad avere figli rinviato al 2025
Un surreale cortocircuito: sì alle associazioni Pro Vita, le coppie che i figli li vogliono devono attendere invece il 2025. Gli esperti: "Migliaia di bambini (desiderati) che non nasceranno"
Un curioso cortocircuito. Un emendamento di Fratelli d'Italia, partito della premier Giorgia Meloni, chiarisce che: le Regioni, nell'organizzare i servizi dei consultori, possono "avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità". Tradotto: la associazioni Pro Life - notoriamente in lotta contro l'aborto - entrano nei consultori: ci sono le risorse.
Ma, parallelamente, si decide per il rinvio dell’entrata in vigore dei Livelli Essenziali di Assistenza per le cure di riproduzione medicalmente assistita – inizialmente prevista per il 1° gennaio 2024, rimandata al 1° di aprile e posticipata ulteriormente al 1° gennaio 2025. In soldoni, secondo gli esperti dell'infertilità:
"Tutto questo si tradurrà in migliaia di bambini in meno che nasceranno".
E viene da chiedersi quale sia la ratio nel decidere di investire risorse per mettere il becco nelle decisioni di donne che - legittimamente o per evidenti difficoltà - decidono di non tenere il proprio figlio. Mentre i genitori che i figli, invece, li desiderano, vengono penalizzati.
I Pro-Life entrano nei consultori
Le associazioni Pro Life, da sempre schierate contro l'aborto, entreranno nei consultori. E' quanto prevede un emendamento al dl Pnrr su cui il governo ha messo la fiducia. Il testo, a prima firma di Lorenzo Malagola di FdI, è passato in commissione bilancio ed è stato stigmatizzato dalle opposizioni: il coinvolgimento delle "associazioni pro-life" nei consultori "rappresenta l'ennesima offesa ai diritti della donna e alla sua autodeterminazione", è "vergognoso", puntano il dito M5s e Pd.
I primi a sollevare il tema sono i rappresentanti del M5s nelle commissioni Affari Sociali di Camera e Senato:
"Viviamo in un Paese in cui il diritto all'aborto, all'interruzione di gravidanza è già sotto attacco, in cui è già difficile accedere alla pratica, in cui le donne devono viaggiare fuori provincia o addirittura fuori regione per riuscire ad abortire - la denuncia -. E mentre altri Paesi inseriscono la tutela del diritto all'interruzione di gravidanza in Costituzione, l'Italia sceglie di fare un ulteriore passo indietro. Noi continueremo a opporci a questa politica oscurantista del governo Meloni".
Tuona anche il Pd, che con la segretaria Elly Schlein:
"Un attacco pesante alla libertà delle donne al quale ci opporremo duramente. È molto grave il blitz della destra in Parlamento con questo emendamento, che vuole fare entrare nei consultori associazioni anti abortiste, per incidere psicologicamente e in modo inaccettabile, violento sulle donne che cercano di avere accesso alla interruzione volontaria di gravidanza".
Per Silvia Roggiani e Marco Furfaro (responsabile welfare del partito):
"Questo governo continua nella sua battaglia contro le donne e contro i loro diritti e lo fa attaccando in primis la legge 194 e il diritto all'interruzione di gravidanza. È vergognoso. Ci batteremo in Parlamento e fuori, affianco alle associazioni femministe, per impedire alla destra questo ennesimo attacco ai diritti delle donne", promettono.
Il precedente piemontese e le polemiche
Apripista fu il Piemonte, a guida di Alberto Cirio, centrodestra, che aveva deciso di dare spazio anche ad associazioni pro-vita nei consultori, generando polemiche analoghe.
In molti ricorderanno lo scontro tra Regione e Governo, iniziato nel 2020 (a Palazzo Chigi sedeva Giuseppe Conte). La Giunta Cirio, attraverso l'onorevole Marrone (FdI) si era detta pronta a dare battaglia a Roma, negando la somministrazione della pillola nei consultori e stop alla distribuzione in Day Hospital al termine dell’emergenza Covid.
Chiunque volesse fruire del diritto di aborto in Piemonte, nella direzione Pro Life del centrodestra, avrebbe dovuto essere obbligato al ricovero. Posizione che ha portato, nel 2021, le ginecologhe piemontesi a diffidare Regione Piemonte in quanto "ostacola la 194 e i day hospital".
Questo, insomma, uno spaccato di chi, nei consultori, ha già sperimentato la presenza attiva delle associazioni Pro Vita con relative correzioni e aggiustamenti postumi in seguito alle polemiche, come accaduto alla Giunta Cirio.
Ma i Lea per la PMA vengono lasciati al palo
Ed ecco il cortocircuito.
Il 1° aprile 2024 la PMA: Procreazione Medicalmente Assistita, sarebbe dovuta entrare a far parte dei LEA: Livelli Essenziali di Assistenza. Un condizionale che purtroppo è subentrato a seguito delle proteste di un cospicuo numero di Regioni che hanno chiesto e ottenuto il rinvio di questo provvedimento. Un’esigenza a cui il Ministero della Salute del governo Meloni ha ceduto approvando il DM Tariffe che effettivamente proroga l’ingresso della PMA nei LEA al 1° gennaio 2025.
In soldoni, quindi, chi i figli non si sente pronto ad averli, deve ritrovarsi a fare i conti con le pressioni della associazioni Pro Vita. Chi, invece, questi figli, li vorrebbe tanto, dall'attuale Governo riceve un "attendi". Ma la fertilità non attende. Ecco qualche dichiarazioni di chi si occupa di infertilità:
“Considerando che l’età media nelle donne che afferisce ai centri di riproduzione medicalmente assistita in Italia è pari a 36,8 anni, una età molto avanzata quando già per natura la capacità riproduttiva delle donne risulta diminuita – dichiara il Dottor Antonino Guglielmino, socio fondatore della SIRU – rimandare il progetto genitoriale di un altro anno significa ridurre ulteriormente la possibilità di successo dei trattamenti di riproduzione assistita. Ne abbiamo avuto prova durante il periodo della sospensione dell’attività a causa del lockdown, in occasione del quale l’autorità inglese ha calcolato che nelle donne nella fascia di età dai 36 ai 39 anni, il ritardo di 12 mesi ha provocato una diminuzione della capacità riproduttiva in termini percentuali che va dal 12 al 19%, in termini assoluti pari al 3.2 – 3.8%. Ciò significa che una donna di 36-37 anni ha mediamente il 26.6% di probabilità di avere una gravidanza, ma dopo un ritardo di 12 mesi la probabilità scende al 23.4%, con una diminuzione quindi di 3.2 punti percentuali. Tutto questo si tradurrà in migliaia di bambini in meno che nasceranno”.
Migliaia di bambini voluti e desiderati, che non nasceranno.
E ancora:
"Il rinvio dell’entrata in vigore dei Livelli Essenziali di Assistenza per le cure di riproduzione medicalmente assistita – inizialmente prevista per il 1° gennaio 2024, rimandata al 1° di aprile e ad oggi posticipata ulteriormente al 1° gennaio 2025. Complessivamente, un ritardo pari a un intero anno che provoca, oltre a una grandissima delusione e senso di abbandono, un vero e proprio danno alle coppie in attesa di poter accedere ai percorsi riproduttivi assistiti con i LEA: peggioreranno le patologie che causano l’infertilità delle stesse e aumenterà l’invecchiamento, il principale nemico della fertilità. Molte coppie addirittura si troveranno costrette a rinunciare al proprio progetto di genitorialità".
Ultima ghigliottinata:
"La mancata entrata in vigore dei LEA peserà maggiormente nelle regioni del sud d’Italia, dove le coppie si ritrovano a sostenere interamente le spese dei trattamenti riproduttivi, mentre in Lombardia, per esempio, i pazienti potranno continuare a sottoporsi ai trattamenti di riproduzione assistita attraverso il sistema sanitario regionale. Permarrà la situazione di estrema disparità tra nord e sud: basti pensare che nelle regioni in cui la possibilità di accesso alla riproduzione assistita senza nessun costo o con il pagamento di un ticket per il paziente si registra oltre il 7% di bambini nati rispetto alla popolazione generale, mentre nelle regioni in cui è a pagamento la percentuale oscilla solo tra l’1,2 e l’1,6%. La media italiana dei bambini nati con la riproduzione assistita risulta quindi pari al 4,2% contro il 12% che si registra in Danimarca, dove non esistono blocchi all’accesso ai trattamenti riproduttivi che vengono considerati una pratica medica come le altre."
A chiudere il quadro circa la gestione della denatalità in Italia, qualche numero. Oggi, infatti, la fecondazione assistita non può più essere considerata una branca della medicina appannaggio di pochi, dal momento che per ragioni biologiche, economiche e sociali il tasso di infertilità tra le coppie è salito in modo preoccupante, arrivando al 15%. Come indica l’ISS – Istituto Superiore di Sanità: In Italia il tasso di fertilità è uno dei più bassi d’Europa (1,3 figli in media per donna), fortemente al di sotto del tasso di mantenimento della popolazione (2,1)1. Fenomeno che, se non invertito, potrebbe portare nel giro di alcune generazioni al crollo del nostro sistema di welfare.