Schlein alle prese con le correnti Pd riottose al referendum sul Jobs Act (e s'incarta sul "salto quantico")
Pollice verso alla posizione del segretario anche dall'ex sindaco di Bergamo e oggi europarlamentare Pd, Giorgio Gori

In principio erano stati i "cicli positivi della circolarità". Oggi è "l'Europa che deve fare un salto quantico".
Cosa voleva dire allora è diventato oggetto di "meme" e ilarità, cosa voleva oggi resta quasi un mistero tanto che in molti hanno voluto riascoltare più di una volta le sue parole.
Di certo, nella direzione nazionale del Pd a Roma, giovedì, la relazione iniziale e conclusiva del segretario Elly Schlein ha disorientato molti rappresentanti dem (soprattutto i riformisti) e creato più di una divisione di vedute, soprattutto sulla questione Referendum contro il (fu renziano) Jobs Act.
L'invito a Prodi, la relazione del segretario, quanti malumori
Anche perché le tappe di avvicinamento alla direzione non si erano certo sviluppate armoniosamente se si pensa che i centristi del Pd avevano portato avanti la richiesta che fosse Romano Prodi ad aprire i lavori della direzione.

Ma il professore ed ex presidente del Consiglio aveva garbatamente declinato l'invito:
"Sono fuori dalla politica, mi sono ritirato".
Come detto uno dei temi centrali degli interventi di Schlein ha interessato i referendum. E proprio su questo tema è emersa la divergenza di vedute all'interno dei dem.
Il nodo dei referendum, che rompicapo tra i dem
Nel suo intervento Schlein ha evidenziato la sua idea centrale. Ovvero il sostegno agli appuntamenti referendari su cittadinanza e lavoro, "ma senza abiure".
Il segretario dem ha infatti spiegato:
"Sosterremo i referendum sul lavoro, so bene che nel partito c’è chi non li ha firmati tutti, e non chiediamo abiure a nessuno, il pluralismo è un valore, tutti si devono sentire a casa propria. Ma il partito deve scegliere e noi supporteremo i referendum su lavoro e cittadinanza”.
“C’è rispetto per chi non li ha firmati, ma la posizione del partito deve essere chiara. Ce n’è uno sul jobs act, una legge di 10 anni fa, ampliamente rivisitata, siamo in un’altra stagione, anche nel partito, una discussione l’abbiamo fatta".
Il nodo nel nodo, il dubbio dei riformisti sullo Jobs Act
La partita più controversa, come emerso anche dagli altri interventi e dai mormorii in sala durante l'intervento del segretario riguarda proprio il Jobs Act.
Una riforma decisamente controversa che risale a ormai più di 10 anni fa.
Vale infatti la pena ricordare che nel 2014 il via libera alla riforma voluta dall'allora leader Pd Matteo Renzi segnò uno degli strappi più clamorosi della storia del Partito Democratico.

Basti pensare che alla Camera, al momento del voto, il Pd si ritrovò diviso con 29 deputati contrari alla riforma tra voti contrari (Cuperlo, Bindi, D'Attorre, Boccia) e non partecipazioni al voto (fece scalpore l'assenza di Enrico Letta).
Il tutto mentre Pierluigi Bersani aveva cercato affannosamente e invano di far quadrare il cerchio e riportare l'unità nel partito.
La posizione del segretario, ma c'è chi anche oggi non ci sta
Ma le tensioni come detto ci sono anche oggi. E si sono manifestate tutte durante la direzione nazionale di Roma.
Come ad esempio dalle parole della deputata Lia Quartapelle:

"Sul referendum serve pluralismo perché se raggiunge il quorum comunque è sostenuto solo dalla parte più estrema del sindacato, visto che la Cisl, fino a poco tempo fa non lontana dal Pd, non è d'accordo e la Uil non ha raccolto firme e sta ragionando se mobilitarsi".
E tra i big veterani, anche Piero Fassino non ha nascosto le sue perplessità:

"Rischiamo di fare un dibattito sul lavoro di retrospettiva. In dieci anni tutto è cambiato compreso l'articolo oggetto di referendum modificato dalla Corte Costituzionale".
Pollice verso alla posizione del segretario anche dall'ex sindaco di Bergamo e oggi europarlamentare Pd, Giorgio Gori:
Oggi non ho partecipato al voto sulla relazione di Elly Schlein alla direzione Pd, in disaccordo sul referendum Jobs Act.
Capisco la posizione della segretaria, coerente con la sua storia politica, ma non condivido la scelta di schierare il partito a sostegno del “SÌ”. Quella -…— Giorgio Gori (@giorgio_gori) February 27, 2025
No al Jobs Act, cosa prevedono i referendum della Cgil
Il referendum sul Jobs Act con i suoi quattro quesiti prevede sostanzialmente l'abrogazione della legge che nel 2015 ha cancellato il diritto al reintegro anche quando il licenziamento venga dichiarato illegittimo da un giudice.
Grazie alla norma, l'azienda può scegliere di pagare un’indennità economica invece che reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato.
Il quesito sul "lavoro dignitoso" chiede la cancellazione del tetto massimo di risarcimento (6 mensilità) al lavoratore ingiustamente licenziato nelle piccole aziende, con meno di 16 dipendenti.
C'è poi il quesito sulla riduzione del lavoro precario, che chiede l'abrogazione delle norme che liberalizzano i contratti a termine, con il ripristino dell'obbligo di causali per il ricorso dei contratti a tempo determinato.
Infine si chiede più sicurezza nel lavoro, attraverso l'eliminazione della norma per cui l’impresa appaltante può evitare di assumersi responsabilità per i danni legati ai rischi specifici delle aziende appaltatrici o subappaltatrici.