Il dado (forse) è tratto. Elly Schlein c’è, il Partito democratico (compatto) forse.
Nell’intervista rilasciata nei giorni scorsi a Mentana al Tg di La7, la segretaria nazionale del Pd ha infatti scelto di non nascondere più le proprie aspirazioni: se la coalizione progressista dovesse chiamarla, lei è pronta a guidare il prossimo Governo di Centrosinistra.
La segretaria dem, però, ha voluto chiarire che le regole del gioco non spettano a lei: la scelta del candidato premier, ha detto, dovrà emergere da un accordo tra le forze alleate o da primarie aperte: un metodo che lei stessa sarebbe disponibile ad affrontare.
La “rassegna stampa” italiana ed estera con vista sulle Politiche 2027
Prima delle questioni interne, Schlein ha toccato i dossier di politica estera.
Ha giudicato positivo l’arrivo di Abu Mazen alla kermesse di Fratelli d’Italia di Atreju, sottolineando però come il Governo Meloni farebbe meglio ad ascoltare le ragioni del leader palestinese e a compiere un passo significativo riconoscendo lo Stato di Palestina.

Sul fronte ucraino, la segretaria ha ribadito la linea netta del Pd: sostenere Kiev è stato e resta necessario per evitare che la Russia ridisegni i confini europei con la forza.

Il “fronte” italiano, le strategie del Pd
Nessuna blindatura e nessun’investitura: la segretaria punta ad allargare la sua maggioranza.
La tensione vera, tuttavia, è tutta interna al Pd.
Da quanto sembra emergere in questi giorni non ci sarà alcuna modifica dello Statuto per blindare automaticamente Schlein come candidata premier, né un ordine del giorno che la incoroni di fatto davanti all’assemblea del 14 dicembre.
La segretaria vuole evitare forzature e presentarsi invece con una maggioranza più larga rispetto a quella congressuale.
Le dinamiche interne ai dem, che partita a scacchi: tutti insieme o tutti contro tutti?
Nel perimetro dei sostenitori dell’attuale leader sono già confluiti diversi dirigenti che non l’avevano appoggiata alle primarie — da Nardella a Serracchiani, da Ascani a Cuperlo — e al Nazareno si guarda soprattutto a cosa farà Stefano Bonaccini e l’area “Energia popolare”.

Per Schlein sarebbe un segnale di forza riuscire a portare stabilmente nella maggioranza anche chi l’aveva sfidata tempo addietro per la segreteria.
Ma lo scoglio è uno: il congresso anticipato.
Bonaccini considera l’ipotesi controproducente, un modo per paralizzare il partito proprio quando servirebbe massimo slancio.
Il nodo da superare, il congresso anticipato
E sulla stessa linea si collocano Franceschini, Orlando, Zingaretti, Speranza e persino molti riformisti che pure contestano la linea politica della segretaria.

Il congresso, insomma, non lo vuole quasi nessuno, ma paradossalmente proprio questo lo rende un’opzione che al Nazareno qualcuno continua a valutare, per chiudere la partita e certificare una volta per tutte che Schlein è il volto con cui il Pd sfiderà Giorgia Meloni.
Nell’area bonacciniana c’è nervosismo: chiedono riconoscimento politico, temono forzature e lasciano trapelare un messaggio neppure troppo implicito.
Se davvero si aprisse un nuovo congresso, Bonaccini potrebbe anche rimettersi in gioco.
Uno scenario improbabile, ma che fotografa un clima tutt’altro che disteso.
Attorno alla segretaria, però, prevale l’ottimismo: si è convinti che una sintesi con il presidente del partito sia possibile e che il punto di caduta possa arrivare già prima dell’assemblea.

Di fatto è già accaduto dopo la investitura di Schlein contro Bonaccini. Potrebbe accadere ancora.
Atreju, Schlein e Conte: il corto circuito nel campo largo
Certo, per vincere alle Politiche del 2027, il Centrosinistra punta forte sulla riproposta, declinata a livello nazionale, del Campo Largo.
Sul fronte delle alleanze, l’invito incrociato a Schlein e Conte per partecipare ad Atreju ha prodotto un piccolo cortocircuito tra Pd e M5S.

Da un lato, la presenza della segretaria dem alla festa della destra è stata vissuta da alcuni pentastellati come un’operazione troppo “dialogante” verso Meloni; dall’altro, nel Pd si è guardato con sospetto al via libera dato da Conte alla sua partecipazione, interpretato da alcuni come un tentativo di distinguersi e marcare le distanze.

Entrambi i leader, pur con toni diversi, hanno scelto di accettare l’invito rivendicando la volontà di parlare anche a un pubblico non amico.
Ma il risultato politico è stato un rinnovato nervosismo (per la richiesta di “esclusiva” avanzata da Schlein) tra le due forze che dovrebbero costruire il campo progressista. Un segnale che il rapporto Pd–M5S resta fragile: ogni mossa pubblica diventa occasione di diffidenza reciproca, e la foto di una coalizione coesa continua a rimanere sfocata.