Dopo il faccia a faccia tra Giorgia Meloni e Viktor Orban di lunedì 27 ottobre 2025, incentrato soprattutto sul tema della competitività, l’incontro tra il premier ungherese e il vicepremier Matteo Salvini al Ministero delle Infrastrutture ha riacceso il dibattito interno alla maggioranza.
Salvini vede Orban e fa arrabbiare (di nuovo) Tajani
Secondo quanto riferito dallo staff di Salvini, il colloquio, definito “affettuoso” e durato circa un’ora, è stato dedicato a “altri temi come la pace, la dura critica al green deal e alle politiche suicide dell’Unione europea”. Un incontro che ha avuto il sapore di una rinnovata intesa tra i due leader, entrambi membri del gruppo dei Patrioti in Europa e accomunati da posizioni critiche verso Bruxelles, in particolare sulla questione ucraina.
Orban ha sottolineato la comunanza di visioni con il leader della Lega:
“Siamo uniti nel nostro impegno a difendere le nostre nazioni e a costruire un’Europa forte di Stati sovrani”.
Tajani: “La politica estera la decide il governo, non i singoli”
Le parole del premier ungherese e la vicinanza mostrata da Salvini non sono passate inosservate. Dalla Mauritania, dove si trovava in visita ufficiale, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha subito chiarito la posizione del governo italiano:
“La linea in politica estera dell’Italia la esprime il Presidente del Consiglio e la esprime il Ministro degli Esteri. Le altre posizioni sono posizioni individuali, ma la linea politica del governo è chiara”.
Tajani ha inoltre ribadito senza esitazioni la posizione dell’Italia sul conflitto russo-ucraino:
“Noi stiamo con Kiev”.
Parole nette, volte a marcare la distanza tra la posizione istituzionale del governo e quella più personale di Salvini, che da tempo mantiene un dialogo privilegiato con Orban e con altri leader sovranisti europei.
Orban insiste: “L’Ue incapace di impedire la guerra”
Ma a tarda sera, ospite del programma Dieci minuti su Rete 4, Viktor Orban è tornato ad attaccare Bruxelles, affermando che “l’Ue si è mostrata incapace di impedire la guerra” in Ucraina. Nel corso dell’intervista, il premier magiaro ha accuratamente evitato di soffermarsi sui punti di divergenza con la premier italiana Giorgia Meloni, con la quale ha comunque detto di “lavorare su come rafforzare i poteri nazionali”.
Un asse sovranista sempre più definito
Intanto, da Budapest, il governo ungherese lavora a un nuovo asse sovranista insieme ai governi di Bratislava e Praga, con l’obiettivo di rilanciare una sorta di “Visegrad dei veti”, un blocco capace di ostacolare le decisioni europee sul sostegno militare e finanziario all’Ucraina.
Orban punta a trasformare questo fronte in un vero e proprio blocco anti-Ucraina al Consiglio europeo e in una trincea anti-Ue all’Eurocamera e nelle capitali del Vecchio Continente. Una strategia che risponde anche a interessi interni: il premier ungherese mira infatti a consolidare la sua posizione in vista delle elezioni ungheresi di aprile 2026, facendo leva sulla crescente ondata sovranista in Europa e sull’arrivo al potere, a Praga, del nazionalista Andrej Babis.
Con lui e con lo slovacco Robert Fico, Budapest intende allargare il fronte dei Paesi pronti a esercitare il veto sul sostegno europeo a Kiev, rilanciando così il ruolo del gruppo di Visegrad, dove il polacco Donald Tusk appare sempre più isolato.
Le prossime mosse in Europa
Il ruolo di Orban nei prossimi mesi si annuncia sempre più centrale e ingombrante. L’eventuale arrivo di Babis alla guida del governo ceco, prima del Consiglio europeo di dicembre, rafforzerebbe ulteriormente la trincea dei cosiddetti Visegrad 3 — Bratislava, Praga e Budapest — nei negoziati con Bruxelles.
Tuttavia, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen non sembra intenzionata a fare concessioni sull’uso degli asset russi per finanziare l’Ucraina.
La sfida resta aperta. Toccherà ora alla Commissione europea individuare un escamotage per aggirare il veto dei sovranisti e garantire nuove risorse a Kiev, mentre Roma si trova a bilanciare, ancora una volta, il doppio binario tra la lealtà euro-atlantica e le spinte identitarie interne.