clausole di salvaguardia

Protesta Coldiretti a Bruxelles: Lula chiama Meloni e si posticipa il summit per trovare una mediazione

Governo in cerca di risposte per i nostri agricoltori

Protesta Coldiretti a Bruxelles: Lula chiama Meloni e si posticipa il summit per trovare una mediazione

Il Consiglio europeo di fine anno si è chiuso con una decisione destinata a pesare sugli equilibri commerciali e politici tra Europa e Sud America: la firma dell’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e il Mercosur è stata rinviata a gennaio.

La scelta è maturata giovedì sera, 18 dicembre 2025, al termine di una riunione tra le più delicate degli ultimi anni, segnata da due dossier centrali: da un lato il finanziamento del prestito europeo all’Ucraina, dall’altro un’intesa commerciale negoziata da oltre vent’anni e ancora fortemente divisiva.

Protesta Coldiretti a Bruxelles: Lula chiama Meloni e si posticipa il summit per trovare una mediazione
Proteste agricoltori a Bruxelles

Un accordo discusso da vent’anni e mai così vicino

L’accordo Ue-Mercosur riguarda il mercato comune sudamericano composto da Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Bolivia e, se entrasse in vigore, darebbe vita alla più grande area di libero scambio al mondo, coinvolgendo circa 450 milioni di consumatori europei e 270 sudamericani.

Nonostante il testo sia stato politicamente concluso lo scorso anno, per diventare operativo necessita dell’approvazione del Consiglio europeo a maggioranza qualificata. Ed è proprio qui che si sono concentrate le resistenze.

Il peso di Italia e Francia e la protesta degli agricoltori

Italia e Francia, i due Paesi più influenti nel sistema di voto europeo, hanno espresso forti perplessità, soprattutto per l’impatto dell’accordo sul settore agricolo. Timori condivisi da migliaia di agricoltori che giovedì hanno raggiunto Bruxelles con i trattori, protestando contro l’intesa e contro i possibili tagli alla Politica agricola comune.

Il sistema di voto è complesso: servono almeno 15 Stati favorevoli che rappresentino il 65% della popolazione dell’Ue, ma è sufficiente anche una “minoranza di blocco” di quattro Paesi che rappresentino il 35% della popolazione per fermare tutto. In questo quadro, le posizioni di Roma e Parigi risultano decisive.

Le proteste di Coldiretti

Le tensioni sull’accordo Ue-Mercosur si sono riflesse anche fuori dalle sale del Consiglio europeo, con una massiccia protesta organizzata da Coldiretti a Bruxelles. Migliaia di agricoltori provenienti da diversi Paesi europei hanno raggiunto il quartiere delle istituzioni con centinaia di trattori, dando vita a una manifestazione che ha paralizzato il traffico e reso plastico il dissenso del mondo agricolo.

Coldiretti e Filiera Italia hanno definito “responsabile e necessaria” la richiesta di rinvio dell’accordo avanzata da Francia e Italia, sostenendo che il trattato, così com’è, rischia di “sacrificare l’agricoltura europea sull’altare di un libero scambio senza regole”.

Secondo l’organizzazione agricola, l’intesa non garantisce una reale reciprocità sugli standard ambientali, sanitari e sul benessere animale e aprirebbe le porte a una concorrenza giudicata sleale, soprattutto nei settori della carne e delle produzioni più sensibili.

La mobilitazione, nelle intenzioni di Coldiretti, è stata anche un messaggio politico alle istituzioni europee: “serve un’Europa diversa, più democratica e più vicina alle esigenze di agricoltori, consumatori e imprese”, capace di tutelare redditi, qualità e sicurezza alimentare.

La telefonata Meloni–Lula

Lo slittamento a gennaio è stato possibile soprattutto grazie all’Italia e a una telefonata tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, che detiene la presidenza di turno del Mercosur.

Durante il colloquio, Meloni ha assicurato che l’Italia non è contraria all’accordo, ma ha chiesto tempo per completare il confronto con il mondo agricolo e ottenere ulteriori garanzie.

Lula ha riferito che Meloni gli ha spiegato di trovarsi in una fase di “imbarazzo politico” per la pressione degli agricoltori, ma di essere “certa” di poterli convincere.

“Se avremo la pazienza di aspettare una settimana, dieci giorni, al massimo un mese, l’Italia aderirà all’accordo”, ha raccontato il presidente brasiliano.

Dalle minacce al dialogo

Poche ore prima, i toni di Lula erano stati decisamente più duri. Aveva avvertito che, in assenza di una firma immediata, il Brasile non avrebbe più favorito l’accordo durante il suo mandato.

“Se non lo facciamo ora, il Brasile non firmerà più l’accordo finché sarò presidente”, aveva dichiarato.

Dopo il colloquio con Meloni, però, il clima è cambiato: Lula ha parlato di una richiesta di rinvio che sarà discussa nel weekend tra i leader del Mercosur.

Protesta Coldiretti a Bruxelles: Lula chiama Meloni e si posticipa il summit per trovare una mediazione
Lula e Meloni

La posizione ufficiale del governo italiano

La linea italiana è stata ribadita anche formalmente.

Palazzo Chigi ha fatto sapere che l’Italia è “pronta a sottoscrivere l’intesa non appena verranno fornite le risposte necessarie agli agricoltori, che dipendono dalle decisioni della Commissione Europea e possono essere definite in tempi brevi”.

La stessa Meloni, intervenendo alla Camera prima del Consiglio europeo, aveva chiarito che “firmare l’accordo nei prossimi giorni come ipotizzato è ancora prematuro”.

“Non significa che l’Italia intende bloccare o opporsi – ha precisato – ma intende approvare l’accordo solo quando include adeguate garanzie di reciprocità per il nostro settore agricolo”.

La premier ha ricordato il lavoro svolto con la Commissione europea:

“Abbiamo ottenuto passi avanti significativi, come l’introduzione di un meccanismo di salvaguardia, un fondo di compensazione e il rafforzamento dei controlli fitosanitari. Tuttavia, queste misure non sono ancora del tutto finalizzate”.

Il nodo agricolo e le clausole di salvaguardia

Le principali resistenze europee riguardano l’aumento delle importazioni di prodotti agricoli sudamericani, in particolare carne e derrate alimentari, che potrebbero competere con i produttori europei a costi più bassi, grazie a standard ambientali e sanitari meno stringenti.

Negli ultimi giorni l’Unione europea ha approvato alcune clausole di salvaguardia aggiuntive, ma resta il dubbio che non siano sufficienti a superare l’opposizione di Paesi come la Francia, che non ha ancora modificato la propria posizione.

Tajani: “Accordo sostenuto, ma prima risolvere i problemi”

Anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, a Bruxelles per il prevertice del Partito Popolare Europeo, ha ribadito che l’Italia sostiene l’accordo, ma solo dopo aver sciolto i nodi agricoli.

“Ci sono dei problemi che riguardano il mondo agricolo che non sono stati ancora completamente risolti”, ha detto. “Una volta risolti quelli, l’Italia è pronta a sostenere l’accordo al 100%”.

Secondo Tajani, il trilogo sulle salvaguardie è “un segnale nella giusta direzione”, ma “non so se è sufficiente”.

Gli interessi economici e geopolitici in gioco

Per l’Unione europea l’accordo rappresenta un’opportunità strategica: accesso privilegiato a un mercato enorme, aumento delle esportazioni di prodotti come automobili, vino e abbigliamento, maggiore sicurezza negli approvvigionamenti di materie prime fondamentali come il litio e un rafforzamento della presenza europea in una regione sempre più corteggiata dalla Cina.

I Paesi del Mercosur, pur considerandolo spesso più vantaggioso per l’Europa, puntano ad aumentare le esportazioni agroalimentari e sono sempre più logorati da un’attesa che dura dal 2000.

Industria favorevole

In Italia il fronte è spaccato.

Confindustria sostiene l’intesa: il presidente Emanuele Orsini ha parlato di “un mercato da 14 miliardi” fondamentale in una fase segnata dai dazi statunitensi.

“Per noi è sicuramente un buon luogo per portare i nostri prodotti, ben apprezzati”, ha detto.

Un rinvio che non chiude la partita

Il rinvio a gennaio non mette fine al negoziato, ma ne conferma tutta la delicatezza. L’accordo resta sul tavolo, sospeso tra ambizioni geopolitiche, interessi industriali e timori agricoli. Le prossime settimane diranno se il tempo chiesto dall’Italia basterà a trasformare uno dei trattati più discussi degli ultimi decenni in una realtà condivisa.