Paesi d'origine sicuri, Corte UE frena l’Italia: “Serve controllo giurisdizionale”. Ira di Giorgia Meloni
Dura la reazione di Palazzo Chigi: "La giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono"

Una nuova sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea interviene in modo deciso su un tema caldo: la designazione dei cosiddetti “Paesi d’origine sicuri” e le ricadute sulla gestione dei migranti.
Il verdetto, emesso oggi, 1 agosto 2025 riguarda direttamente l’Italia, chiamata in causa per il protocollo stipulato con l’Albania e per l’inserimento di Paesi come Egitto e Bangladesh tra quelli ritenuti “sicuri” per il rimpatrio dei richiedenti asilo.
Dura la reazione di Palazzo Chigi:
"La giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche".
Le condizioni poste dalla Corte
Secondo i giudici europei, uno Stato membro può designare come sicuro un Paese terzo solo attraverso un atto legislativo, ma a una condizione imprescindibile: la possibilità per i cittadini coinvolti di ricorrere a un controllo giurisdizionale effettivo. Inoltre, la Corte sottolinea che non è ammissibile inserire un Paese nella lista se non è in grado di garantire protezione sufficiente a tutta la popolazione, senza esclusioni.
Tale criterio rimane in vigore fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sull’asilo, prevista per il 12 giugno 2026. Questo nuovo quadro normativo permetterà eccezioni per categorie chiaramente identificabili di persone, ma fino ad allora il principio generale resta invariato. La Corte ha però aggiunto che il legislatore europeo potrebbe anticipare questa data, se lo ritenesse necessario.
Il caso italiano e la posizione dei giudici
La sentenza arriva in risposta ai ricorsi del Tribunale di Roma, che ha sollevato dubbi sulla legittimità dei fermi effettuati nei confronti di migranti soccorsi nel Mediterraneo e trasferiti in Albania. Al centro del dibattito, l’uso del concetto di “Paese terzo sicuro” nel contesto delle procedure accelerate per l’asilo, applicate dal governo italiano a migranti provenienti da Egitto e Bangladesh.

La Corte, che include anche il giudice italiano Massimo Condinanzi, ha confermato la necessità di un controllo trasparente e accessibile sulle fonti informative utilizzate dai governi per stabilire se un Paese è sicuro.
Il parere dell’avvocato generale
Già nelle conclusioni preliminari del 10 aprile scorso, l’avvocato generale Richard De La Tour aveva espresso una posizione simile: la designazione legislativa è lecita, ma solo se non sottratta al vaglio della magistratura. Le autorità giudiziarie nazionali devono poter esaminare le prove e i dati su cui si fonda tale designazione, soprattutto per tutelare categorie vulnerabili che potrebbero essere a rischio di persecuzione o violazioni gravi.
Le reazione di Palazzo Chigi
A stretto giro, l'Esecutivo diffonde un duro commento sulla sentenza:
"Sorprende la decisione della Corte di Giustizia UE in merito ai Paesi sicuri di provenienza dei migranti illegali. Ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche. La Corte di Giustizia Ue decide di consegnare a un qualsivoglia giudice nazionale la decisione non sui singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri e delle espulsioni degli irregolari.
Così, ad esempio, per l’individuazione dei cosiddetti Paesi sicuri fa prevalere la decisione del giudice nazionale, fondata perfino su fonti private, rispetto agli esiti delle complesse istruttorie condotte dai ministeri interessati e valutate dal Parlamento sovrano.
È un passaggio che dovrebbe preoccupare tutti – incluse le forze politiche che oggi esultano per la sentenza - perché riduce ulteriormente i già ristretti margini di autonomia dei Governi e dei Parlamenti nell’indirizzo normativo e amministrativo del fenomeno migratorio. La decisione della Corte indebolisce le politiche di contrasto all’immigrazione illegale di massa e di difesa dei confini nazionali.
È singolare che ciò avvenga pochi mesi prima della entrata in vigore del Patto Ue su immigrazione e asilo, contenente regole più stringenti, anche quanto ai criteri di individuazione di quei Paesi: un Patto frutto del lavoro congiunto della Commissione, del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea.
Il Governo italiano per i dieci mesi mancanti al funzionamento del Patto europeo non smetterà di ricercare ogni soluzione possibile, tecnica o normativa, per tutelare la sicurezza dei cittadini."
Tra diritto e politica
Dario Belluccio, legale di uno dei due migranti del Bangladesh coinvolti nel ricorso, ha commentato la decisione come una sconfessione netta della linea del governo italiano.
“È una vittoria dei principi della democrazia e dello Stato di diritto, a partire dal diritto alla difesa e alla separazione dei poteri”, ha dichiarato.
Dura anche la reazione politica. Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana (AVS), ha parlato di “una pesante sconfitta per il governo Meloni e la propaganda della destra”.
E ha aggiunto:
“Hanno persino accusato i giudici di eversione per aver rispettato la legge. Questa sentenza dimostra esattamente il contrario.”
La decisione della Corte UE rischia ora di rimettere in discussione l’intero impianto del protocollo Italia-Albania e le pratiche italiane relative alla gestione dei flussi migratori. Il nodo resta l’equilibrio tra esigenze di controllo dei confini e il rispetto delle garanzie giuridiche fondamentali dei richiedenti asilo.
Con l’entrata in vigore del nuovo regolamento UE nel 2026 — o prima, se anticipato — il quadro cambierà ancora. Ma per ora, le regole sono chiare: nessuna scorciatoia a scapito dei diritti.