Open Arms: la Procura fa ricorso in Cassazione contro l'assoluzione di Salvini
Il ricorso salta direttamente il secondo grado dell'Appello e va direttamente alla Suprema Corte

La vicenda Open Arms non è finita. Con una mossa a sorpresa, la Procura di Palermo ha presentato ricorso contro la sentenza che lo scorso dicembre aveva assolto il vicepremier Matteo Salvini dall'accusa di sequestro di persone e rifiuto di atti d'ufficio per i fatti dell'agosto 2019.
Open Arms, nuovo colpo di scena
I fatti, come detto, risalgono al 2019, ma la vicenda sembrava essersi conclusa soltanto ora, con l'assoluzione del vicepremier (qui le motivazioni della sentenza di primo grado).
Ma ora ecco un nuovo colpo di scena. Con una procedura insolita (di solito il ricorso viene presentato in Appello), la Procura palermitana ha presentato reclamo direttamente alla Cassazione (che rappresenta invece il terzo grado di giudizio).
Perché la procura ha fatto ricorso in Cassazione
Il motivo è spiegato dai pm nel ricorso:
"La sentenza in esame si rivela manifestamente viziata per l'inosservanza di quella serie di norme integratrici, quali quelle sulla libertà personale e le Convenzioni sottoscritte dall'Italia per il soccorso in mare di cui il tribunale avrebbe dovuto tenere conto nell'applicazione della legge penale".
La Cassazione, infatti, interviene nel metodo e non nel merito delle questioni giudiziarie. Per i pm, dunque, non sono state prese in esame tutte le norme nell'arrivare all'assoluzione.
Procedendo in questo modo, in caso di assoluzione anche in Cassazione, il giudizio su Salvini diventerà definitivo.
Perché Salvini era stato assolto
Il leader della Lega era accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio, per avere impedito nell'agosto del 2019, quando era ministro dell'Interno, lo sbarco di 147 migranti a bordo della Ong spagnola Open Arms.
L'Italia, nell'analisi dei giudici, non aveva alcun obbligo di fornire un porto sicuro (Pos) ai migranti sulla nave:
"Il convincimento che nella vicenda oggetto del presente procedimento nessun obbligo di fornire il Pos gravasse sullo Stato italiano, né, dunque, sull'odierno imputato, - spiegano i giudici preliminarmente - esime evidentemente il collegio dall'affrontare analiticamente diverse tematiche prospettate ed animatamente dibattute dalle parti quali, ad esempio, quelle relative alla circostanza che la nave Open Arms avesse potuto fungere da Pos, ovvero al fatto che il primo intervento non avesse in realtà riguardato un'imbarcazione in distress, o ancora al fatto che i tempi trascorsi in attesa del Pos potevano legittimamente spiegarsi (anche tenuto conto dei considerevoli tempi ordinari di sbarco impiegati in altre operazioni di salvataggio concluse in Italia, anche in epoca diversa dalla reggenza Salvini del Ministero dell'Interno) con l'esigenza di provvedere prima alla distribuzione dei migranti fra gli Stati Europei".
Secondo i giudici i migranti non erano in pericolo di vita, e dunque non c'era la necessità di un intervento immediato:
"Invero, lo Stato italiano, inizialmente, col decreto dell'1 agosto 2019 si era limitato ad interdire l'accesso ad Open Arms (che peraltro in quel momento si trovava, in acque internazionali, ad oltre 50 miglia dalle coste italiane) nelle acque territoriali, senza con ciò respingerla verso paesi nei quali i migranti avrebbero corso il rischio di subire i pregiudizi alla propria vita sopra specificati (in tesi, verso la Libia), confidando sul fatto che i paesi direttamente 'responsabili' (Spagna e Malta), ove i migranti non avrebbero corso i rischi sopra specificati, avrebbero potuto accogliere i migranti".
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