Meloni si allontana sempre più da Israele e firma l'appello con altri 27 Paesi per fare entrare aiuti a Gaza
"Siamo aperti al riconoscimento della Palestina", ha dichiarato il vice premier e ministro degli Esteri Tajani

Dopo un colloquio con il presidente palestinese Abu Mazen, la presidente ha parlato con il primo ministro saudita Mohammed bin Salman. Insieme hanno ribadito la necessità di avviare al più presto un processo politico verso una soluzione a due Stati.
Meloni si allontana da Israele
C'è anche l'Italia tra i firmatari del documento, insieme a Paesi dell'Unione europea e non solo come il Giappone, che lancia un accorato appello e richiede a Netanyahu di autorizzare tutte le spedizioni di aiuti delle Ong internazionali e consentire agli operatori umanitari di svolgere le loro attività. Tutto questo perché la carestia a Gaza è sotto gli occhi di tutti.
Alcuni potrebbero pensare che sia un po' tardi per farlo, ma la premier Giorgia Meloni e l’esecutivo stanno esprimendo una crescente preoccupazione per i piani annunciati dal governo di Benjamin Netanyahu di invadere e occupare integralmente la Striscia di Gaza.
Una prospettiva che, secondo Roma, rischia di far precipitare ulteriormente un conflitto già al limite, aggravato dalla difficoltà di garantire aiuti umanitari e dall’altissimo numero di vittime civili, inclusi giornalisti sul campo.

L'appello per gli aiuti a Gaza
Negli ultimi giorni, le dichiarazioni di condanna da parte di membri del governo - dal vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani al ministro della Difesa Guido Crosetto - si sono fatte più nette. Il comportamento del presidente viene finalmente giudicato come inaccettabile e gli appelli alla de-escalation sono sempre più espliciti.
Dalle opposizioni arrivano nel frattempo richieste di fatti concreti e persino di sanzioni, compresa la sospensione della cooperazione militare con Israele.
La Dichiarazione sul fine guerra
A distanza di tre settimane dall'adesione alle Dichiarazione per la fine della guerra a Gaza, firmata lo scorso 21 luglio insieme ad altri 27 Paesi tra cui diversi membri dell’Unione Europea e poi Regno Unito, Canada, Giappone e Nuova Zelanda, il nostro Paese è sempre più distante da Israele.
La dichiarazione denuncia il deterioramento della situazione umanitaria nella Striscia e condanna il sistema di distribuzione degli aiuti umanitari. Quello controllato da Israele, con gli Usa, tramite la Gaza Humanitarian Foundation, organizzazione inefficace e umiliante che ha provocato la morte di oltre mille civili palestinesi.
I Paesi firmatari hanno inoltre chiesto la liberazione immediata e incondizionata degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas.
La premier sente il presidente palestinese
Ma il testo ha espresso un secco no a qualsiasi trasferimento forzato della popolazione palestinese in cosiddette città umanitarie e ha condannato i progetti di espansione degli insediamenti nei Territori Palestinesi Occupati, in particolare il piano E1, che rischierebbe di dividere in due un futuro Stato palestinese.
Da allora, però, la situazione è decisamente peggiorata. Le recenti decisioni del governo israeliano hanno suscitato nuove critiche a Roma. Oltre all'appello urgente per l’ingresso di aiuti a Gaza, Meloni ha intensificato la diplomazia internazionale.
Dopo un colloquio con il presidente palestinese Abu Mazen, ieri ha parlato con il primo ministro saudita Mohammed bin Salman. Entrambi hanno espresso “preoccupazione per l’ulteriore escalation militare” e la necessità di avviare al più presto un processo politico verso una soluzione a due Stati.
Tajani: "Siamo aperti a riconoscere la Palestina"
"Siamo aperti al riconoscimento della Palestina ma dobbiamo lavorare alla costruzione di uno Stato palestinese che unisca Cisgiordania e Gaza, senza alcun ruolo per Hamas", ha dichiarato Tajani.
Parole che segnano una presa di posizione più decisa di Roma, in un contesto in cui la linea del governo italiano, pur attenta a non spezzare del tutto i rapporti con Tel Aviv, sembra sempre più orientata a esercitare pressione politica per fermare le armi e riaprire le porte alla diplomazia.