Alla fine non ci sarà nessun “Ohio” nelle Marche e le Marche rimarranno una deliziosa regione dell’Italia senza diventare “caput mundi” (in copertina Francesco Acquaroli e Arianna Meloni).
Vince il Centrodestra, Acquaroli rimane governatore e il Centrosinistra (in versione campo larghissimo) non solo non manda alcun avviso di sfratto a Giorgia Meloni in vista delle Politiche 2027, ma si lecca le ferite in una Regione che fino a sei anni fa era considerata una roccaforte rossa quasi al pari dell’Emilia Romagna.
Movimenti anche in seno al Centrodestra
Impazzano i meme, le stoccate agli avversari e inevitabilmente la posizione e la leadership di Elly Schlein ritorna in discussione. Così come il progetto del campo largo.
Ma anche nel Centrodestra in fondo ci si interroga. Perché Fratelli d’Italia (che esprimeva il governatore) fa da traino con oltre il 28%, ma la Lega crolla e Forza Italia aumenta il suo consenso rispetto alle Regionali di cinque anni, ma lo perde rispetto alle Europee del giugno 2024.
Centrosinistra, anatomia di una sconfitta
Le aspettative del Centrosinistra erano alte. Far passare appunto il voto nelle Marche come una sorta di anteprima delle Politiche del 2027.
E di sicuro dare vigore ed entusiasmo in vista delle Regionali delle prossime settimane (fino a novembre) in Calabria, Toscana, Puglia, Campania e Veneto.
I numeri reali hanno però riportato tutti con i piedi per terra: dalle Marche non solo non è arrivata la vittoria, ma nemmeno una sconfitta onorevole, visto il distacco netto di otto punti.
La linea di Elly Schlein, che insiste sulla costruzione di un fronte unitario, si fonda su un principio evidente: senza alleanze la solitudine politica è inevitabile. Ma se la coalizione appare disomogenea e poco convincente, l’effetto può essere opposto a quello sperato.
In questo senso risuoneranno assordanti gli avvertimenti che in tempi anche recenti sono arrivati soprattutto da Giuseppe Conte (Movimento 5 Stelle), ma in fondo anche da Carlo Calenda (Azione):
“Senza programmi e progetti illustrati in modo adeguato agli elettori, ma solo con le ammucchiate contro il Centrodestra e la Meloni non si va da nessuna parte”.
Ecco perché per cercare di ritrovare un po’ di serenità ed entusiasmo al Centrosinistra servirà vincere in almeno tre delle Regioni attese a breve al voto. Traguardo possibile (soprattutto in Toscana, Puglia e Campania), ma non semplice.
Le prossime strategie tra mal di pancia e leadership in discussione
Del resto, dentro il Pd, le dinamiche interne non si fermano. Già la scorsa settimana il tema della leadership del partito era tornato prepotentemente di attualità con le ipotesi Gentiloni e Salis.
Va da sé che in assenza di situazioni irreparabili, la segretaria attuale non sembra intenzionata a cedere il passo, consapevole che il partito ha già bruciato diversi leader negli anni.
Tuttavia, come accennato, l’area riformista mostra segni di insofferenza: considera penalizzante l’intesa con il Movimento 5 Stelle, ritenuta incapace di generare valore aggiunto per i Democratici.
Non a caso, le Marche rappresentano la decima regione in cui l’esperimento giallorosso non ha prodotto vittorie.
Ma a dire anche la linea dialogante e diplomatica di Stefano Bonaccini viene giudicata da alcuni come eccessivamente accomodante.
Non vanno meglio gli alleati, lo stato di salute del Movimento 5 Stelle
Intanto però agli altri non è che vada meglio.
il Movimento 5 Stelle vive tensioni interne. Giuseppe Conte ha faticato non poco per imporre ai suoi la candidatura di Matteo Ricci, figura non priva di criticità sia per le posizioni espresse sul riarmo europeo, sia per le vicende giudiziarie legate al suo passato da sindaco.
Forse a dir la verità non ne era del tutto convinto neanche lui. Perché se è vero che il curriculum di Ricci pareva più che autorevole, l’ex sindaco di Pesaro ha vinto appunto solo nella sua città, subendo sonore sconfitte nelle altre province.
Resta però il fatto che una parte di ragione gli scettici dei dem ce l’hanno: l’esito elettorale dimostra che il consenso personale di Conte non è sufficiente a trainare i candidati Pd.
Con uno scenario interno ai pentastellati che non fa dormire sereno l’ex premier che, dopo Grillo, ora deve guardarsi da altre insidie.
Una parte del Movimento, vicina a Virginia Raggi e Alessandro Di Battista, continua infatti a rifiutare con decisione l’ipotesi di un’alleanza strutturale con i Democratici.