BRACCIO DI FERRO

Il cooperante in carcere da un anno in Venezuela per “rappresaglia politica” nei confronti dell’Italia

Il Governo italiano, coerente con la linea condivisa da Stati Uniti e Unione Europea, non riconosce ufficialmente il regime di Maduro

Il cooperante in carcere da un anno in Venezuela per “rappresaglia politica” nei confronti dell’Italia

Tra ormai poco più di due settimane sarà un anno.

Il 15 novembre segnerà un anno dall’arresto di Alberto Trentini, l’italiano tuttora detenuto nel carcere venezuelano di El Rodeo I.

Da dodici mesi vive in condizioni difficili, senza un’adeguata assistenza legale, e secondo varie fonti la sua prigionia sarebbe una rappresaglia politica del regime di Nicolás Maduro nei confronti dell’Italia.

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Nicolas Maduro

Ma dietro l’arresto e la detenzione del nostro connazionale sembra esserci anche l’ombra di alcune delicate “partite economiche”.

La detenzione di Trentini, un puzzle intricato tra politica e diplomazia

Roma, infatti, negli ultimi anni ha garantito protezione a diversi esponenti dell’opposizione venezuelana rifugiatisi nel nostro Paese, tra cui Gerardo Villalobos, ex vice ministro dell’Energia, e Rafael Ramírez, ex ministro del Petrolio, la cui posizione era stata archiviata dalla Procura di Roma appena due settimane prima dell’arresto di Trentini.

Durante la detenzione, Trentini ha potuto parlare con i familiari solo in rare occasioni.

L’ultima telefonata, avvenuta pochi giorni fa, ha tuttavia riacceso la speranza che possa esserci una soluzione diplomatica a breve.

Anche perché giusto un mese fa il cooperatore internazionale aveva ricevuto la visita in carcere del nostro ambasciatore in Venezuela (in realtà, formalmente il nostro incaricato d’affari internazionali).

Dunque, a un anno dall’arresto di Alberto Trentini, il suo destino rimane un delicato banco di prova per la diplomazia italiana.

Tra pressioni internazionali, crediti miliardari e contatti sotterranei, la strada verso la sua liberazione appare ancora complessa, ma non priva di spiragli.

Un dialogo silenzioso tra Roma e Caracas

Ufficialmente, i governi di Italia e Venezuela mantengono il massimo riserbo, ma secondo alcune ricostruzioni esistono due canali negoziali su cui si lavora per sbloccare la vicenda.

Il primo riguarda la sfera politica: Caracas, isolata e colpita da anni di sanzioni internazionali, è in cerca di riconoscimento e legittimazione da parte dei Paesi occidentali.

La pressione è aumentata dopo la decisione del presidente americano Donald Trump di dispiegare bombardieri B-52 nei pressi delle coste venezuelane, giustificando l’azione come contrasto al narcotraffico.

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Il presidente Usa Donald Trump

Secondo alcune fonti venezuelane, una telefonata diretta tra Giorgia Meloni e Nicolás Maduro, o tra quest’ultimo e il presidente Sergio Mattarella, potrebbe bastare per ottenere la liberazione di Trentini.

Giorgia Meloni con il presidente Mattarella
Giorgia Meloni con il presidente Mattarella

In realtà, si tratta però di un gesto politicamente complesso: il Governo italiano, coerente con la linea condivisa da Stati Uniti e Unione Europea, non riconosce ufficialmente il regime di Maduro.

E notare bene, se mai ciò accadesse, si andrebbe anche a indispettire decisamente Donald Trump.

Rapporti diplomatici minimi, ma un contatto si è riaperto

Anzi, a dirla tutta, le relazioni bilaterali tra Italia e Venezuela sono ai minimi termini, anche se negli ultimi mesi si è registrato un timido segnale di riavvicinamento.

Il 25 settembre, il vice ministro degli Esteri Edmondo Cirielli ha contattato la sua omologa venezuelana Andrea Corao, per ringraziarla dell’autorizzazione concessa all’incaricato d’affari italiano – in assenza di ambasciatori – di far visita a Trentini in carcere.

Edmondo Cirielli, viceministro agli Affari Esteri

Tuttavia, la via del riconoscimento politico appare poco praticabile.

A Palazzo Chigi si guarda invece a una soluzione di tipo economico-finanziario, che potrebbe rivelarsi più efficace.

I crediti italiani verso Caracas: un nodo da 2,5 miliardi

Diversa e in continua evoluzione è invece la situazione delle dinamiche commerciali.

Da decenni l’Italia è infatti presente in Venezuela, ma le sanzioni e il collasso economico del Paese hanno congelato rapporti e pagamenti.

Molte aziende italiane vantano crediti ingenti nei confronti di Caracas, mai saldati. Si stima che l’ammontare complessivo superi i 2,5 miliardi di euro.

La posizione più rilevante è quella dell’Eni, che attende circa 2 miliardi di euro dalla compagnia petrolifera di Stato Pdvsa. Essendo Eni controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Governo avrebbe teoricamente un margine d’azione maggiore per decidere come gestire la partita.

Le aziende nostrane che “battono cassa” a Maduro

Ma non si tratta dell’unico caso.

Webuild, Ghella e Astaldi (oggi Astaris) vantano crediti per centinaia di milioni di euro legati a grandi opere ferroviarie avviate nel 2011 e mai completate.

Le imprese hanno avviato un arbitrato internazionale a Parigi contro il Governo venezuelano e la società ferroviaria statale.

Anche Ghella risulta esposta per lavori sulla metropolitana di Valencia, mentre Tenaris, del gruppo Rocca, attende il pagamento di 137 milioni di euro dopo l’esproprio di due sue controllate locali. Nonostante un arbitrato vinto nel 2018 presso l’ICSID, finora ha incassato solo 33 milioni.

Ci sono poi Danieli, con un credito relativo a un impianto siderurgico mai pagato, e il San Raffaele del gruppo San Donato, che aspetta 2,7 milioni di euro per trattamenti sanitari erogati nel 2016.

Diplomazia economica e contatti personali

Di fronte a questa rete di interessi, si ipotizza che l’Italia possa tentare una mediazione economica: un accordo che coinvolga i crediti vantati dalle imprese italiane in cambio della liberazione di Alberto Trentini.

Resta da capire se le aziende, quasi tutte private, sarebbero disposte a rinunciare a parte delle somme pur di sbloccare la crisi diplomatica.

Roma, in ogni caso, può contare su alcuni interlocutori influenti all’interno del sistema di potere venezuelano.

Tra questi, la giovane romana Camila Fabbri, moglie di Alex Saab, stretto consigliere di Maduro e attuale ministro delle Industrie, oggi vice ministra della Comunicazione internazionale.

Un altro nome chiave è quello di Rafael Lacava, governatore dello stato di Carabobo e già ambasciatore del Venezuela in Italia, che ha avuto un ruolo decisivo nella liberazione, lo scorso maggio, dell’italo-venezuelano Alfredo Schiavo, rimasto in carcere per oltre cinque anni.