Si è concluso nel peggiore dei modi il confronto tra Governo e sindacati sul futuro dell’ex Ilva di Taranto. Durante l’incontro a Palazzo Chigi, presieduto dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, con la partecipazione del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e della ministra del Lavoro Marina Calderone, è emerso che la cassa integrazione per i lavoratori dell’acciaieria salirà a 6.000 unità a partire da gennaio.
La rimodulazione delle attività produttive da qui a fine dicembre comporterà già un incremento dei cassintegrati da 4.550 a circa 5.700 unità, con integrazione del reddito. Il fermo degli impianti, necessario per i lavori di decarbonizzazione, farà salire ulteriormente il numero di lavoratori coinvolti. Secondo quanto riferito dai sindacati, l’organico effettivo dello stabilimento di Taranto è di 7.938 dipendenti, di cui 5.371 operai, 1.704 quadri e 863 equiparati: ciò significa che oltre il 75% del personale sarà fermo.
Il piano del Governo
Il piano presentato dal Governo, definito “a ciclo corto”, prevede la prosecuzione delle attività di manutenzione e messa in sicurezza degli impianti iniziata a novembre 2024 e prevista fino a febbraio 2026, con interventi sugli altoforni 2 e 4, sull’acciaieria 2, sul treno nastri 2 e sulla rete gas coke. Il documento indica inoltre un piano di decarbonizzazione in quattro anni, con l’obiettivo di rendere Taranto il primo sito europeo a produrre solo acciaio “green”.

Nel frattempo, l’altoforno 4 è in manutenzione e ripartirà nei prossimi giorni, mentre a gennaio è previsto il fermo delle batterie coke 7, 8, 9 e 12, con conseguente acquisto del coke dall’estero. Il Governo assicura che la continuità produttiva sarà mantenuta e che verranno garantiti investimenti per la realizzazione dell’impianto di preridotto (DRI) e dei nuovi forni elettrici, in collaborazione con la Regione Puglia.
I sindacati: “Un piano di chiusura”
Durissime le reazioni dei sindacati, che hanno abbandonato il tavolo al termine di oltre tre ore di discussione.

Per Michele De Palma, segretario generale della Fiom, “il Governo ha presentato di fatto un piano di chiusura. Ci sono migliaia di lavoratori in cassa integrazione e nessun sostegno al rilancio e alla decarbonizzazione. Abbiamo deciso unitariamente come Fim, Fiom e Uilm di andare dai lavoratori e spiegare che contrasteremo questa scelta con tutti gli strumenti possibili”.
Sulla stessa linea Rocco Palombella della Uilm:

“Non c’è un piano industriale, ma un piano inaccettabile che parte dal presupposto di portare alla chiusura dell’ex Ilva. Finora li abbiamo seguiti, ora condannano i lavoratori a una chiusura inesorabile. Aumentano in modo esponenziale i cassintegrati, senza spiegazioni sulle gare aperte”.
Per Ferdinando Uliano della Fim-Cisl, la situazione è “drammatica”:

“Ci presenteremo ai lavoratori illustrando cosa sta succedendo. Parlare di 6.000 persone in cassa integrazione su 10.000 è di fatto mettere in discussione la continuità produttiva. Ci aspettavamo un piano di rilancio, ma ci troviamo davanti a un piano per fare cassa sui lavoratori”.
Palazzo Chigi: “Rammarico per la scelta dei sindacati”
In una nota diffusa in serata, Palazzo Chigi ha espresso “rammarico per il fatto che la proposta di proseguire il confronto sull’ex Ilva, anche sugli aspetti tecnici emersi nel corso della discussione, non sia stata accettata dalle organizzazioni sindacali”.
L’Esecutivo conferma “la disponibilità a proseguire l’approfondimento di tutti gli aspetti, anche dei rilievi più controversi, alle proposte avanzate dal Governo per la gestione operativa dell’azienda in questa fase di transizione”.
I possibili acquirenti e le incognite sul futuro
Durante il tavolo, il ministro Urso ha riferito che sarebbero quattro i soggetti interessati all’acquisizione del gruppo siderurgico: i fondi americani Flacks Group e Bedrock, già noti, la Baku Steel e un nuovo operatore estero, coperto da un accordo di riservatezza, che secondo indiscrezioni potrebbe provenire dal Qatar.
Tuttavia, le promesse di nuovi investitori e il richiamo alla transizione “green” non bastano a rassicurare i sindacati. Con il progressivo fermo delle cokerie, il ricorso alla cassa integrazione e l’assenza di un piano industriale chiaro, il timore è che lo stabilimento di Taranto stia andando verso una chiusura di fatto, mascherata da interventi di manutenzione e decarbonizzazione.
Le prossime settimane saranno decisive: i sindacati annunciano mobilitazioni e incontri con i lavoratori, mentre il Governo ribadisce la volontà di “tenere aperto il dialogo”. Ma la distanza tra le parti, al momento, appare più ampia che mai.