Un intervento lungo, denso, a tratti identitario e a tratti programmatico. Dal palco di Atreju, Giorgia Meloni ha parlato al popolo del Centrodestra e al Paese, rivendicando le scelte del governo, attaccando la sinistra e rilanciando una visione politica fondata su responsabilità, coraggio e sfida personale.
#Atreju, il mio intervento conclusivo. Seguitemi in diretta. https://t.co/VnhBe6zQNo
— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) December 14, 2025
La premier ha aperto il suo intervento con un ringraziamento alla platea (che l’ha accolta con un’ovazione, facendola saltellare al coro “Giorgia, Giorgia”), definita la “risposta più limpida e potente” a chi riduce la politica a un gioco di palazzo. Da lì, il filo conduttore è stato chiaro: la vera sfida, ha detto Meloni, non è contro gli avversari, ma “con le nostre coscienze”. Governare significa decidere e rischiare, accettare anche la possibilità di sbagliare quando ciò che è in gioco è più importante dell’interesse personale.
“Non siamo nati per vivere sotto coperta – ha detto – ma per osare, stupire, stravolgere, incidere”.
La stoccata a Schlein
Meloni ha ringraziato tutti i leader dell’opposizione, da Renzi a Conte, che sono ad andati ad Atreju:
“Questo è un luogo in cui tutte le idee hanno diritto di cittadinanza, dove le identità si sfidano rispettandosi, Qui Marx e Nietzsche si darebbero la mano, direbbe Venditti. Chi scappa dimostra non di non avere contenuti”.
E su Schlein.
“Voglio ringraziare anche lei, che con il suo nannimorettiano ‘mi si nota di più se vengo e sto in disparte o se non vengo per niente’, ha comunque fatto parlare di noi. La cosa divertente è che il presunto campo largo l’abbiamo riunito noi ad Atreju e l’unica che non si è presentata è quella che dovrebbe federarli. Contenti loro”.
E ancora:
“Conte e Schlein, hanno detto no al confronto non perché loro non volessero confrontarsi con me, ma perché non si volevano confrontare fra di loro. Questi vogliono governare la nazione insieme… come la governano, con le lettere degli avvocati?”
Governo, credibilità e stabilità
Meloni ha rivendicato la stabilità dell’esecutivo e la solidità della maggioranza, respingendo l’idea di un governo isolato. Ha ringraziato gli alleati Antonio Tajani e Matteo Salvini, sottolineando come la coalizione non sia “un incidente della storia”, ma il frutto di trent’anni di battaglie comuni. Alla sinistra ha rimproverato l’assenza dal confronto e l’incapacità di governare se non “con le lettere degli avvocati”.
Ampio spazio è stato dedicato alla credibilità internazionale dell’Italia. Da “impresentabili”, come veniva descritta tre anni fa, l’Italia è oggi citata come modello da testate come il Financial Times e Le Monde. Un cambio di percezione che, secondo Meloni, è una condizione necessaria per difendere gli interessi nazionali e attrarre investimenti. La stabilità, ha ricordato, non è un valore astratto: i continui cambi di governo sono costati al Paese 265 miliardi in dieci anni.
Economia, lavoro e diritti sociali
Sul fronte economico la premier ha rivendicato i risultati sull’occupazione, in particolare quella femminile, e il rilancio del Mezzogiorno, definito “locomotiva d’Italia” grazie a una strategia basata su investimenti e legalità. Ha difeso le politiche a sostegno della natalità – detassazione per le madri lavoratrici e bonus per i nuovi nati – ribadendo che nessuna donna dovrebbe essere costretta a scegliere tra lavoro e maternità.
Sul tema dei diritti sociali, Meloni ha sottolineato gli investimenti sulla sanità pubblica, con risorse “mai viste prima”, e ha rilanciato una visione meritocratica della scuola: chi rifiuta di sostenere l’esame di maturità “deve essere bocciato”. Un messaggio netto contro quello che ha definito il “lassismo” ereditato dal passato.
Famiglia, scuola e identità
Uno dei passaggi più identitari ha riguardato l’educazione. Meloni ha rivendicato la norma sul consenso informato per l’educazione affettiva nelle scuole, affermando che “i figli sono dei genitori, non dello Stato”. Lo Stato può accompagnare la famiglia, ma non sostituirsi ad essa. Un attacco diretto a quella che ha definito una visione ideologica dell’educazione.
Sul piano culturale non è mancata l’ironia, come nel passaggio sulla cucina italiana riconosciuta dall’Unesco:
“Nemmeno su questo la sinistra ha gioito, è una settimana che mangiano dal kebabbaro”, ha detto tra gli applausi.
Giustizia, sicurezza e scontro politico
Toni durissimi sulla giustizia. Meloni ha difeso la riforma voluta dal centrodestra definendola fatta di “misure di buon senso” e ha invitato i magistrati a votare pensando “a loro stessi e ai loro figli”, non al governo.
“Fregatevene della Meloni – ha detto – i governi passano, le leggi restano”.
Europa, migranti e politica estera
In politica estera Meloni ha respinto l’immagine di un’Europa “pachiderma”, rivendicando una visione di civiltà viva e non ideologica. Ha difeso il piano Mattei per l’Africa come strumento per garantire il diritto a non emigrare e quello dell’Italia ad accogliere solo chi viene a lavorare. Sui migranti ha rivendicato la linea dura e i centri in Albania, attribuendo ai giudici i ritardi nell’attuazione.
Netta anche la posizione sui conflitti internazionali: sostegno all’Ucraina, aiuti concreti a Gaza e una critica alla “pace fatta con le canzoni di John Lennon”.
“La pace – ha detto – si costruisce con la deterrenza”.
Ha respinto le accuse della sinistra, che aveva parlato di “complicità nel genocidio”, ringraziando Abu Mazen per averle smentite.
La chiusura: la sfida con se stessi
Nel finale, Meloni è tornata al messaggio iniziale: la sfida più grande è quella con se stessi.
“Non racconteremo la storia, la costruiremo”, ha detto, invitando gli italiani a non voltarsi dall’altra parte e a pretendere sempre il massimo dalla politica. “La nazione è un compito comune”.
Alle 13.26, tra gli applausi e sulle note dell’inno d’Italia, la premier ha chiuso il suo intervento con un’immagine evocativa:
“In ogni cuore dorme una forza che attende la scintilla giusta. Saremo quella scintilla, ogni giorno”.