Contratti a termine, cosa dice il terzo quesito del referendum: cosa cambia se vince il sì
Un tema cruciale per il mercato del lavoro

L'8 e 9 giugno 2025, i cittadini italiani saranno chiamati a votare su cinque quesiti referendari abrogativi. Il terzo quesito, identificato con la scheda grigia, riguarda la disciplina dei contratti a tempo determinato e propone l'abrogazione di alcune norme che regolano l'apposizione del termine, la durata massima e le condizioni per proroghe e rinnovi di tali contratti.
Cosa prevede il terzo quesito del referendum dell'8 e 9 giugno 2025
Il quesito mira a eliminare le disposizioni introdotte dal Jobs Act del 2015 e successivamente modificate dal decreto Dignità del 2018 e dal decreto Lavoro del 2023, che consentono ai datori di lavoro di stipulare contratti a termine senza l'obbligo di indicare una causale per i primi 12 mesi e prevedono la possibilità di proroghe e rinnovi con causali definite anche a livello aziendale.
Il terzo quesito del referendum tocca un tema centrale nel dibattito sul mercato del lavoro: l'equilibrio tra flessibilità per le imprese e tutela dei lavoratori.
Cosa succede se vince il sì
Se la maggioranza dei votanti si esprimerà a favore del sì e sarà raggiunto il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto, le norme che consentono l'apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato senza causale per i primi 12 mesi verranno abrogate.
Di conseguenza, i datori di lavoro dovranno sempre indicare una causale valida per stipulare contratti a termine, indipendentemente dalla durata. Inoltre, non sarà più possibile definire le causali a livello aziendale per i contratti di durata superiore ai 12 mesi.
Cosa succede se vince il no
Se la maggioranza dei votanti si esprimerà per il no o non sarà raggiunto il quorum, le norme attuali rimarranno in vigore. I datori di lavoro potranno continuare a stipulare contratti a termine senza causale per i primi 12 mesi e definire le causali per proroghe e rinnovi anche a livello aziendale. I sostenitori del no ritengono che questa flessibilità sia necessaria per adattarsi alle esigenze del mercato del lavoro e per favorire l'occupazione.