Chi nel Pd non vuole firmare il referendum della Cgil per abolire il Jobs Act
La segretaria ha firmato il documento dei sindacati, ma quante polemiche dai suoi. E intanto rilancia la battaglia sul salario minimo
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Alla fine anche Elly detto sì. Il segretario nazionale del Pd firmerà infatti i quattro referendum lanciati a metà aprile dalla Cgil, tra cui quello sul Jobs Act.
Ma quante polemiche. Perché, tra chi mugugna, spicca la constatazione che il Pd si ritrova ormai quasi sempre a "inseguire" il Movimento 5 Stelle.
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L'annuncio della Schlein è arrivato a margine della festa dell'Unità a Vecchiazzano a Forlì (dove c'erano banchetti della Cgil per le firme) quando sembrava che la questione potesse rappresentare un altro momento di divisione tra i dem ed essere "rinviata" a dopo le Europee.
Referendum e programmi Pd, Schlein c'è
Il segretario nazionale ha motivato così la sua decisione, facendo riferimento a quelli che erano di fatto i temi principali del partito al momento della sua investitura alla guida del Pd:
"Molti del Pd firmeranno, altri non lo faranno. Io mi metto tra coloro che lo faranno. Non potrei far diversamente visto che è un punto qualificante della mozione con cui ho vinto le primarie l'anno scorso".
Il fronte del "no"
In effetti nelle ore e nelle giornate precedente, molti esponenti del Partito democratico avevano manifestato la loro intenzione a non firmare il documento.
Principalmente per due motivi.
In molti hanno criticato il "sì" arrivato a "scoppio ritardato":
"Almeno fossimo arrivati a firmare prima di Conte...".
Ma oltre all'inciampo strategico d'esser arrivati dopo Conte (il che potrebbe sembrare solo une puerile gara di velocità), a dar "fastidio" è stato il fatto che l'uscita della segretaria sia stata fatta senza interpellare alcun organo di partito (ma in ogni caso Schlein ha parlato a titolo personale, dando per altro una motivazione difficile da criticare).
Lorenzo Guerini, uno dei principali esponenti dell'area riformista:
"Se al posto della Schlein firmerei i referendum sul Jobs Act e sulla precarietà della Cgil? No, non li firmerei ma non mi permetto di dire quello che dovrebbe fare la nostra segretaria".
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Piero De Luca, coordinatore dell'area Bonaccini ha a sua volta annunciato che sarà tra quelli che non firmerà:
"Anziché guardare nello specchietto retrovisore sarebbe stato meglio lavorare a idee e proposte che guardino avanti e migliorino le condizioni dei lavoratori, unendo il partito".
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E ancora il senatore Alessandro Alfieri, responsabile nazionale Pnrr e riforme nella segreteria nazionale del Pd (sempre area Bonaccini):
“Guardiamo al futuro non ad abolire una legge del passato”.
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La più dura Simona Malpezzi (che tuttavia non ha spiegato il perché):
"Non firmerò e penso sia sbagliato firmare. Mi piacerebbe anche capire cosa significa oggi abrogare il Jobs Act, visto che alcune cose sono già state modificate".
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E così pure Marianna Madia:
"Se proprio voleva fare questa forzatura, poteva farlo prima di Conte. Rimango contraria. In molti come me"
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La stroncatura di Conte, l'ira di Renzi
E proprio l'ex presidente del Consiglio e leader del Movimento 5 Stelle si è lanciato in una pesante stroncatura dello Job Act modellato e istituito dall'allora premier (e leader Pd) Matteo Renzi:
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"Quando siamo stati al governo abbiamo adottato il decreto dignità, abbiamo iniziato a smontare il Jobs Act, che ha creato lavori sempre più precari e ha favorito la moltiplicazione dei contratti a tempo determinato".
A stretto giro di posta proprio Matteo Renzi ha polemizzato e non poco contro il suo ex partito, o meglio di fatto contro il nuovo corso targato Elly Schlein:
"La segretaria del Pd firma per abolire una legge voluta e votata dal Pd. Finalmente si fa chiarezza. Loro stanno dalla parte dei sussidi, noi dalla parte del lavoro. Amici riformisti: ma come fate a restare ancora nel Pd?".
Anche Calenda bacchetta Schlein
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La decisione di Schlein di aderire alla raccolta firme della Cgil ha avuto anche il paradossale risultato ricompattare la "vecchia coppia" Renzi-Calenda.
Il leader di Azione ci è andato giù pesate senza troppi giri di parole:
"È un gravissimo errore da parte di Schlein firmare contro il Job act e appiattirsi sulle battaglie ideologiche e politiche di Landini".
I referendum della Cgil
Come detto i quesiti referendari del sindacato guidato da Maurizio Landini sono stati lanciati a metà aprile. Si tratta di tre temi e quattro quesiti.
I primi due riguardano i licenziamenti (uno sul superamento del contratto a tutele crescenti e l’altro sull’indennizzo nelle piccole imprese, previsti dal Jobs act).
Il terzo punta alla reintroduzione delle causali per i contratti a termine.
Infine, il quarto riguarda gli appalti, in particolare sulla responsabilità del committente sugli infortuni.
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L'altra battaglia, il salario minimo
Fatta chiarezza sull'adesione alla raccolta firma contro lo Jobs Act, Elly Schlein ha però suonato la carica anche rilanciare un'altra battaglia che è destinata a infiammare la politica, dove però non sembrano esserci molti punti di convergenza bipartisan.
Ecco allora che è infatti tornata di attualità la questione del salario minimo:
"Voglio portare avanti la nostra proposta sul salario minimo. Sotto i 9 euro non è lavoro, è sfruttamento, e non può essere legale. Una proposta che chiede di rafforzare al contrattazione collettiva, proprio quella su cui fanno tanti sforzi i sindacati ma che troppo spesso si vedono scalzati da dei contratti pirata firmati da organizzazioni che non sono realmente rappresentative di lavoratrici e lavoratori".