La Corte penale internazionale (CPI) ha stabilito che l’Italia, non eseguendo correttamente la richiesta di arresto e consegna del generale libico Mahmoud Almasri, “non ha rispettato i propri obblighi internazionali” di cooperazione con la Corte.
Lo ha deciso la Camera preliminare I dell’Aja, composta dalle giudici Iulia Motoc (Romania, presidente), Reine Alapini-Gansou (Benin) e Maria del Socorro Flores Liera (Messico).
Nel documento pubblicato dalla CPI, le giudici affermano all’unanimità che “l’Italia non ha agito con la dovuta diligenza né utilizzato tutti i mezzi ragionevoli a sua disposizione” per ottemperare alla richiesta di cooperazione internazionale.
Nessun deferimento immediato: scadenza al 31 ottobre
Pur constatando la violazione, la Corte ha deciso a maggioranza di non deferire immediatamente il caso all’Assemblea degli Stati Parte della CPI né al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, rinviando la decisione e concedendo al governo italiano tempo fino a venerdì 31 ottobre 2025 per fornire “informazioni su eventuali procedimenti interni pertinenti e sul loro impatto sulla cooperazione con la Corte“.
La giudice Flores Liera si è espressa in dissenso rispetto alla concessione della proroga, mentre le colleghe Motoc e Alapini-Gansou hanno sostenuto la necessità di valutare ulteriori elementi, tenendo conto della “complessità del caso“.
Il nodo del rimpatrio: “Nessuna valida giustificazione”
Secondo la Corte, Roma non ha fornito “alcuna valida ragione giuridica o ragionevole giustificazione” per il trasferimento immediato del generale Almasri in Libia, avvenuto con un volo di Stato tre giorni dopo il fermo a Torino, lo scorso 18 gennaio.

Le giudici evidenziano che, invece di rimpatriare il generale, il governo avrebbe dovuto “consultare preventivamente la Corte” o “rettificare eventuali difetti procedurali” nell’arresto.
Il governo italiano aveva motivato il rimpatrio con “ragioni di sicurezza e rischio di ritorsioni“, ma la CPI giudica tali spiegazioni “molto limitate“, sottolineando che “non è chiara” la decisione di trasferire Almasri in Libia con un aereo di Stato.
CPI: “Impedito di esercitare funzioni”
Nel documento, le tre giudici segnalano che, “nonostante l’ampio tempo a disposizione” e i “ripetuti tentativi d’interloquire” con il Ministero della Giustizia italiano, l’Italia “non ha mai contattato la CPI“ per risolvere gli eventuali ostacoli relativi al mandato d’arresto o alla “presunta richiesta d’estradizione concorrente” presentata dalla Libia.
Questa condotta, secondo la Corte, ha “impedito alla CPI di esercitare pienamente le proprie funzioni“. Inoltre, le questioni di “diritto interno” sollevate da Roma “non possono essere invocate” per giustificare una mancata cooperazione internazionale, respingendo così la principale tesi difensiva italiana.
Il procedimento interno e le indagini sui ministri
Tra i procedimenti a cui fa riferimento la Corte figura quello aperto dal Tribunale dei ministri nei confronti della premier Giorgia Meloni, dei ministri Carlo Nordio (Giustizia) e Matteo Piantedosi (Interno), e del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. I quattro sono indagati per la decisione che ha portato al rimpatrio di Almasri in Libia, nonostante il mandato d’arresto internazionale emesso dalla CPI per presunti crimini di guerra.
Il Parlamento ha negato l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri, ma gli avvocati Francesco Romeo e Antonello Ciervo, legali di Lam Magok, una delle vittime del generale libico, hanno depositato un’istanza al Tribunale dei ministri chiedendo che venga “sollevato un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato“. Secondo i legali, la votazione delle Camere avrebbe impedito alla magistratura di esercitare pienamente le proprie funzioni.