Altro che taglio dei parlamentari: sono più di 300 in meno ma ci costano uguale
Il taglio dei costi della politica è rimasto solo sulla carta...
Quando ci hanno detto che a questo giro i parlamentari sarebbero stati di meno abbiamo probabilmente tutti pensato "meno male, spenderemo anche meno soldi". E invece incredibilmente non è così. Già, perché nonostante il numero di deputati e senatori si sia considerevolmente ridotto (da 945 a 600)... ci costano uguale.
I parlamentari sono di meno, ma ci costano uguale
La questione riguarda la Camera dei deputati che è passata da 630 a 400: 230 in meno, dunque, per un risparmio che sulla carta sarebbe dovuto essere piuttosto corposo. Invece a luglio, prima della caduta del Governo Draghi, nella previsione pluriennale è stato deciso di lasciare invariata la dotazione dello Stato. Dunque per Montecitorio sono stati confermati per il 2023 e il 2024 ben 943 milioni di euro. Una decisione francamente di difficile comprensione, dato che tutti sapevano che i deputati sarebbero stati molti meno.
Ma c'è di più. E fa davvero pensare che ci si sia voluti "mettere al riparo". Il fondo per le indennità dei parlamentari non poteva essere aumentato e infatti è calato da 145 a 93 milioni. Quello che invece è rimasto costante è stato il contributo ai gruppi, sistema che serve per sostenere economicamente i partiti: i 30,8 milioni di euro rimarranno costanti. E così se i gruppi rappresentati sino alla precedente legislatura ricevevano 49.000 euro all'anno per deputato, oggi ne ottengono 77.000.
Chi voleva tagliare i costi della politica ora ne trae beneficio
Inevitabile arrabbiarsi. E altrettanto inevitabile prendersela con coloro che volevano tagliare i costi della politica (uno slogan ripetuto fino allo sfinimento) e che invece ora godranno di queste elargizioni. E il pensiero - non ce ne vogliano - va immediatamente al Movimento Cinque Stelle, che tempo addietro avrebbe fatto tuoni e fulmini contro una situazione del genere.
Perché proprio i grillini hanno affrontato una lunga battaglia per ridurre gli emolumenti della tanto vituperata "casta", ma sembra proprio che invece oggi ne siano entrati a far parte. Anche perché gli stipendi andranno anche a coloro che non siedono più in Parlamento. Tra questi l'ex presidente della Camera Roberto Fico, che ha mantenuto i suoi uffici a Montecitorio.
Ma anche due "pezzi da novanta" del M5S: Paola Taverna e Vito Crimi, che per una sorta di "compensazione" per aver rispettato il vincolo dei due mandati, sono stati piazzati come collaboratori e rientrano nel settore "comunicazione". E che percepiranno uno stipendio da circa 70.000 euro annui, proprio grazie alle dotazioni per i gruppi, che per il Movimento rimane di 4 milioni di euro.