Giacomo Urtis, la Dolly Parton con qualche taglia in meno e la sua improbabile candidatura a Sanremo 2024: l’Irriverente commento di Simone Di Matteo
Il chirurgo dei Vip, che ora si fa chiamare Jenny, ha deciso di riprovarci ancora con la musica sebbene farebbe meglio a dedicarsi ad altro
Da buon scrittore quale sono, a differenza di tutti quelli che credono bastino una penna e un calamaio per potersi ritenere tali, mi diletto spesso e volentieri, tra le altre cose, nella lettura di quei classici che hanno fatto grande la letteratura di un tempo. Mi piace perdermi fra le righe delle loro immacolate pagine, lo trovo straordinariamente illuminante. E così, l’altro giorno ho ben pensato di rispolverare la mia prima e rarissima edizione di Delitto e Castigo di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, il quale mi ha rammentato, come soltanto lui avrebbe potuto fare, che “se avessi voluto aspettare che tutti fossero diventati intelligenti, sarebbe passato troppo tempo. Poi ho capito anche che questo momento non sarebbe arrivato mai, che gli uomini non cambieranno mai e che nessuno riuscirà a trasformarli e che tentar di migliorarli sarebbe fatica sprecata!”.
L’unica “marcia in più” di Giacomo Urtis è il pensare di poter essere utile a qualcosa!
E in effetti, mi è subito venuta in mente quell’infinità di prezzemolini televisivi che ci circondano quotidianamente e il cui solo scopo nella vita, a parte l’irreprensibile desiderio di volersi ricoprire di ridicolo ad ogni costo, sembra essere quello di riuscire a far pensare al prossimo di poter realmente essere utili a qualcosa. A nulla è servito, infatti, il tentativo di Pier Silvio Berlusconi di tenerli lontani dai corridoi di Mediaset perché, per quanto venga ricordato a quest’ultimi, da me in primis, di essere alle prese con un’impresa che va ben oltre la loro portata, essi continuano imperterriti a cimentarsi nel far mostra di un talento che non possiedono e nell’inseguimento di un improbabile sogno che mai si realizzerà.
In molti, ad esempio, hanno deciso di dedicarsi alla musica e di autoproclamarsi “artisti”, deducendo evidentemente che fossero sufficienti un microfono, una buona dose di auto-tune, una base pre-registrata e un ritornello mostruoso, tantomeno orecchiabile, per poter essere annoverati tra le stelle del panorama discografico nostrano. In questa miriade di uomini, donne e aspiranti tali, in particolare, fra le fila di quei divi e quelle divine che di trascendentale non hanno proprio niente, c’è chi si è improvvisato dj (in fondo, una consolle e un paio di cuffie sono facili da trovare), c’è chi si è riscoperto strumentista (forse strimpellando il mandolino di un vecchio zio ritrovato nello scantinato del proprio monolocale in affitto), c’è chi si è reinventato in vocal coach (dimenticando, magari per un attimo, di aver ancora molto da dover imparare e illudendosi, di conseguenza, di esser in grado di insegnare qualche cosa a qualcuno) e infine c’è Giacomo Urtis, o per meglio dire Jenny Urtis, chirurgo dei vip (alla quale non mi affiderei neanche se fosse l’ultima sulla faccia della Terra) che, fra tutto ciò che sarebbe potuta essere o diventare, ha scelto di trasformarsi in null’altro che in una pessima caricatura di se stessa.
Nonostante abbia già inciso svariati singoli nel corso degli ultimi anni (mi chiedo chi abbia avuto il coraggio di ospitarlo nel suo studio di registrazione!?), dimostrando dunque che farebbe prima a dedicarsi ad altre attività, quel mantra alla “provaci ancora, Harry”, si sa, la fa da padrone tanto da averla spinta, almeno a detta sua, a presentare una canzone per il prossimo Festival della Canzone Italiana. Stando alle dichiarazioni rilasciate ai microfoni di Spyit.it, in particolare, colei che si definisce una “Arisa con una marcia in più”, sebbene a mio parere assomigli più ad una Dolly Parton con qualche taglia in meno, avrebbe inciso un brano (poi scartato, per fortuna!) dal titolo “Giacomo contro Jenny”, incentrato sull’ambivalente identità di un individuo che oramai non sa più chi è. Per carità, ognuno è libero di potersi esprimere nella maniera che ritiene più opportuna, ma da qui a pensare di meritare il palco dell’Ariston ce ne passa di acqua sotto i ponti. Dopotutto, una che afferma di voler cantare la comunità queer un momento prima e subito dopo si ritrova a cantare a favor di telecamere in un locale insieme a Povia non andrebbe di certo celebrata e applaudita in una delle cornici canore più famose del bel Paese. Al contrario, la sola cosa che ci si può permettere di fare con persone del genere è limitarsi a commemorarle punto e basta!