Stop alla registrazione dei figli di coppie gay a Torino (ma vale in tutta Italia)
L'invito a interrompere queste pratica arriva dopo un doppio pronunciamento: uno del tribunale e uno della Corte d'Appello.
A Torino il prefetto dice stop all'iscrizione all'anagrafe dei figli di coppie gay e lancia un monito al sindaco dem Stefano Lo Russo:
"Come ufficiale del governo, se prosegue nell'iscrizione dei bambini figli di due madri in Comune vìola la legge e commette abusi d'ufficio".
Stop all'iscrizione all'anagrafe dei figli di coppie gay
Obbedisce, ma lascia intendere che la questione non è chiusa. Il primo cittadino di Torino, Stefano Lo Russo, quando annuncia che si trova obbligato a interrompere l'iscrizione all'Anagrafe dei figli di coppie dello stesso sesso.
Una decisione subìta "con grande amarezza: obbedire mi costa moltissimo". A richiamarlo all'ordine una nota inviata dal prefetto:
"Mi ha comunicato che il sindaco, in quanto ufficiale di stato civile, agisce come ufficiale di governo e non come titolare di un potere proprio e deve quindi attenersi al dispositivo di legge: la trascrizione della registrazione dei figli delle coppie omogenitoriali costituisce una violazione".
Il pronunciamento del Tribunale
L'invito a interrompere queste pratica arriva dopo un doppio pronunciamento: uno del tribunale e uno della Corte d'Appello, contro le registrazioni dei figli delle coppie omogenitoriali. Una decisione a scopo cautelare in attesa della Cassazione.
E non è un caso che Torino sia finita nel mirino (anche se la decisione riguarda tutto il Paese): nel 2018 la sindaca pentastellata Chiara Appendino aveva fatto da apripista trascrivendo all’ufficio Stato civile dell’anagrafe gli atti di nascita dei bambini figli di due coppie omogenitoriali:
“Questo è il primo bambino nato in Italia da due mamme a poter risultare fin dalla nascita come figlio di due madri”.
Da quel momento, all'ombra della Mole, sono stati diversi i nuclei arcobaleno che hanno trovato una legittimazione. Ora Lo Russo deve arrendersi e sospendere il registro avviato nel 2018, primo in Italia, dall'ex sindaca grillina. Sette le coppie omogenitoriali che avevano chiesto e stavano aspettando risposta dagli uffici per registrare i propri bambini. Se il sindaco dovesse insistere sulla strada percorsa fino a oggi rischierebbe sanzioni pecuniarie e, in caso di esposto per abuso di ufficio, la sospensione dal ruolo. L'assessore alle Pari Opportunità Jacopo Rosatelli, ha assicurato che resteranno per ora le registrazioni già effettuate, che sono una settantina. La prossima mossa spetta alla Corte di Cassazione.
La rabbia del sindaco
"Dietro questi commi e questi articoli di legge ci sono dei bambini, ci sono delle persone, degli affetti, delle storie di vita importanti e talvolta diventa difficile separare il piano del coinvolgimento personale rispetto a quello del ruolo istituzionale. Questo è uno dei casi in cui essere sindaco è piuttosto scomodo. Io credo che sia veramente iniquo che un cittadino europeo, a seconda del Paese dell’Ue in cui nasce, abbia dei diritti o non li abbia. Questo è, a mio modo di vedere, davvero ingiusto, è una violenza nei confronti dei cittadini e delle cittadine europee. Ed è su queste cose che si fonda l’unità del continente. Questa dimensione è una cosa che purtroppo in questo momento in Europa c’è",
ha tuonato Lo Russo.
"Siamo felici che sia definitivamente finita l'era dell'ipocrisia del provvedimento - capriccio a danno dei bambini - ha tuonato Augusta Montaruli, deputata torinese di Fratelli d'Italia -. Lo Russo e Appendino chiedano scusa alla città per averla gettata volutamente nel caos normativo e subordinata alle marchette dell'ideologia fluida. Avevamo ragione noi: il registro era illegittimo e non poteva essere attuato a meno di non commettere un vero e proprio politico abuso. Le coppie definite omogenitoriali non sono riconosciute dalla legge, i bambini continuano ad avere una mamma ed un papà con buona pace dei mistificatori che hanno promosso il registro e violato i loro diritti".
Il clima politico intorno alla questione si arroventa e non riguarda soltanto il capoluogo piemontese. Il veto, infatti, vale in tutta Italia, Torino ha solo fatto suonare per prima l'allarme essendo ormai da quattro anni la più esposta sul tema.