Ricercatore iraniano piemontese d'adozione condannato a morte, l'Università di Novara chiede clemenza
Notizie drammatiche dall’Iran dove il ricercatore, novarese d’adozione, è detenuto.
Dall’Iran arriva la drammatica notizia che il ricercatore Ahmad Reza Djalali, già cittadino onorario di Novara, verrà giustiziato dalle autorità della Repubblica Islamica.
Come riporta Prima Novara, del suo caso si è occupato anche il Consiglio regionale del Piemonte che, nelle scorse settimane, ha partecipato a un sit-in silenzioso nel cortile di Palazzo Lascaris per chiedere la sospensione dell’esecuzione in un primo momento fissata per il 21 maggio.
Un’analoga iniziativa era stata organizzata dal Comune di Novara.
Chi è Ahmad Reza Djalali e perché è stato condannato
Ahmad Reza Djalali è un medico, docente iraniano e ricercatore di medicina delle catastrofi. Ha lavorato presso l'Università del Piemonte Orientale presso la quale ha sviluppato il suo programma di dottorato, e ha collaborato inoltre con università iraniane, statunitensi.
Il 31 gennaio 2017, dopo nove mesi di detenzione, il dottor Djalali è stato trasferito nella sezione 15 del tribunale rivoluzionario di Teheran, dove, nonostante la mancanza di prove, è stato ufficialmente accusato di spionaggio. In questo processo gli è stato comunicato che sarebbe potuto venire condannato a morte. Al suo avvocato non è stato permesso di essere presente all'udienza e gli è stato negato l'accesso ai fascicoli del caso.
Dopo mesi di ingiustificata detenzione, il 21 ottobre 2017 è stato condannato a morte con l'accusa di “corruzione sulla terra” ed è stato incarcerato nella prigione di Evin.
Alla fine del 2018, una TV di Stato iraniana l'ha presentato come una spia mostrando la sua presunta confessione, che, secondo il dottor Djalali, consisteva in un testo scritto in precedenza. Secondo la famiglia di Jalali e i gruppi per i diritti umani, la confessione è stata estorta sotto minacce e pressioni.
Il suo avvocato ha tentato di presentare ricorsi per la revisione giudiziaria della sentenza ma sono stati respinti e l'ultimo è apparentemente ancora in sospeso. Il 29 luglio 2019, il dottor Djalali è stato nuovamente trasferito dalla prigione di Evin ad un luogo sconosciuto. Lì, venne gravemente torturato e minacciato di esecuzione della condanna a morte.
“Sentenza inumana”
“Non possiamo arrenderci a questa sentenza inumana e senza appello - commentano i leghisti di Novara Riccardo Lanzo, Federico Perugini e Letizia Nicotra - arrivata al termine di una vicenda processuale che ha sollevato l’indignazione della comunità internazionale. Durante il sit-in del 10 maggio abbiamo esposto in silenzio i cartelli “#saveahmad” nella speranza che le autorità iraniane potessero ancora rivedere il loro verdetto. Idealmente avevamo voluto far sentire la sorda indignazione di tutto il Piemonte: non dimentichiamo che Ahmad Reza Djalali è cittadino onorario di Novara dal 2019, città dove ha operato come ricercatore universitario, e quindi è piemontese d’adozione. Di fronte alla definitiva decisione del tribunale di Teheran la nostra unica speranza è che la diplomazia italiana possa ancora intervenire presso il governo dell’Iran per scongiurare la sua impiccagione”.
“Ahmad è stato un collega dell’Università del Piemonte Orientale - aggiunge il neuro radiologo e leghista di Vercelli Alessandro Stecco - dove era uno stimato ricercatore presso il Crimedim, il centro interdipartimentale di Medicina dei disastri. E’ un uomo di scienza, un uomo di cultura, un uomo di sapere: capisaldi indissolubili di civiltà contro i quali oggi si scontra la barbarie della pena capitale. Un atto inumano che, come medico e come politico, non posso che ripudiare nel modo più assoluto. Nella speranza che ci sia ancora spazio perché la diplomazia possa salvare la vita di Ahmad”.
Così Domenico Rossi
”Una notizia che non avremmo mai voluto leggere e che apprendiamo con profondo dispiacere. Purtroppo le azioni messe in campo fino ad ora ad ogni livello istituzionale non hanno ancora avuto esito positivo, ma non è questo il momento di arrenderci.
L’esecuzione era stata fissata entro il 21 maggio, ma Ahmad è ancora vivo ed è nostro dovere non rassegnarci ad una sentenza assurda e tenere aperta ogni opzione per salvarlo e riportarlo dalla sua famiglia”.