Fumagalli: una storia al fianco delle imprese artigiane
Dopo 16 anni di entusiasmante fatica, durante l’assemblea svoltasi giovedì scorso, ha lasciato l’incarico di segretario generale di Confartigianato Imprese.
Nato a Oggiono, Cesare Fumagalli, 66 anni, sposato e padre di due figli, laureato in sociologia, è forse la persona che più di altri rappresenta e impersonifica la confederazione. Articolata in 103 Associazioni, 21 Federazioni regionali, 12 Federazioni di categoria, 46 Associazioni di mestiere. Presente sul territorio nazionale attraverso 1.201 sedi all’interno delle quali lavorano 10.700 persone, al servizio di 1,5 milioni di imprese con 3 milioni di addetti.
Passaggio di consegne per Confartigianato
Il Virgilio del mondo dell’artigianato italiano – come è stato definito dall’economista torinese Giulio Sapelli nel suo libro “Elogio della piccola impresa” edito da Il Mulino - ha mosso i primi passi lavorando per la presidenza di Regione Lombardia, guidata dal compianto senatore Cesare Golfari. Nel 1979 è entrato in Confartigianato Lecco diventandone direttore nel 1985. Nel 2003 è stato eletto Segretario regionale di Confartigianato Lombardia. Dal gennaio 2005 è stato Segretario generale di Confartigianato Imprese. Prestigioso incarico che ha lasciato giovedì scorso al termine dell’assemblea nazionale che ha visto la nomina del nuovo presidente Marco Granelli e del nuovo Segretario generale Vincenzo Mamoli.
L'intervista a Cesare Fumagalli
Lei conosce l’artigianato italiano come nessun altro, avendo lavorato per 41 anni in Confartigianato.
Che idea si è fatto di questo mondo così variegato?
"E’ un mondo di straordinaria vivacità, ma troppo poco conosciuto. C’è un gap tremendo di conoscenza: è un settore economico di straordinaria rilevanza,s otto gli occhi di tutti, ma poco indagato anche dal mondo accademico. Con poche eccezioni come quella del grande studioso Giacomo Becattini. Pochissimi hanno studiato il mondo delle micro e piccole imprese. Anche per sfidare questa disattenzione abbiamo dato vita a Confartigianato Academy, la scuola di formazione manageriale insieme alla SDA Bocconi, con il professor Paolo Preti. E’ una criticità che il mondo della piccola impresa si porta dietro da sempre e alla quale abbiamo cercato di porre rimedio".
Come ha cercato di migliorare il peso e la visibilità dell’organizzazione?
"Quando sono arrivato alla guida della Confartigianato ho subito avviato una collaborazione esterna per monitorare e analizzare il comparto e poi dato vita a un Ufficio Studi interno, una struttura centrale leggera ma corsara, a rete con i livelli regionali e in grado di sfornare prodotti non tradizionali. Una scelta che ci ha permesso di farci notare di più in un panorama di scarsa attenzione alla piccola impresa. Ancora oggi Bankitalia non monitora soggetti imprenditoriali sotto i 20 dipendenti e l’Istat non tiene conto dei contratti artigiani. Una scarsa attenzione che vale per l’Italia ma anche per l’Europa.
Il lavoro fatto in questi anni ci ha permesso una maggiore considerazione dell’opinione pubblica e degli interlocutori istituzionali come è avvenuto recentemente con il Governo in occasione degli Stati Generali e con le proposte presentate al ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli , in vista del Recovery Plan italiano. Ma il gap di conoscenza resta ancora fortissimo: lo leggi negli occhi dei rappresentanti politici che fanno fatica a capire che l’artigianato rappresenta un pezzo strategico del Paese; si ricordano dell’artigianato e delle piccole imprese solo in campagna elettorale (e allora le chiamano la spina dorsale del Paese), poi quando devono legiferare in Parlamento fanno le leggi avendo a riferimento poche migliaia di grandi imprese e poi, semmai, fanno degli adattamenti per i restanti 4 milioni di micro e piccole aziende".
A livello nazionale ha lavorato prima spalla a spalla con il presidente Giorgio Guerrini , aretino, imprenditore nel settore alimentare, e poi con Giorgio Merletti, varesino, imprenditore del settore della falegnameria.
Ci descrive una piccola caratteristica di entrambi?
"Guerrini è un toscanaccio vivace e – per me - è stata la prima volta che mi sono trovato a lavorare con un presidente più giovane. Entrambi eravamo alla prima esperienza nazionale e abbiamo dovuto capire in fretta come confrontarci con il Governo e gli altri mondi della rappresentanza romani. All’inizio sono stati anni di economia galoppante e caratterizzati da una congiuntura positiva; poi nel 2009 abbiamo fatto i conti con la crisi economica innescata da quella finanziaria e affrontato l’improvviso credit crunch dopo un lungo periodo in cui l’accesso al credito era stato facile e abbondante. Merletti è stato il primo presidente lombardo di Confartigianato in 70 anni di storia associativa - come io ero stato il primo Segretario generale di provenienza lombarda - e insieme abbiamo dato vita a un tandem lombardo che ha portato nell’organizzazione una serie di valori tipici come la concretezza, la sostanza".
Adesso l’associazione sarà guidata dall’emiliano Marco Granelli. Un consiglio?
"Granelli non ha bisogno dei miei consigli, arriva preparato a questa sfida dopo aver fatto per quattro anni il vice presidente vicario. Ha lavorato molto, ha acquisito esperienza ed è molto attrezzato: adesso deve stare davanti e tirare il gruppo. Vede, chi guida un sistema associativo ha un solo strumento, la corda, per condurre gli associati: se stai dentro il gruppo, al coperto, con la corda non puoi spingerli; ma se gli stai davanti, se ti prendi la responsabilità di scegliere la strada, allora, con la corda, li puoi utilmente tirare e insieme progredire. È una bella responsabilità, ma anche un grande stimolo".
Negli ultimi anni una certa vulgata sostiene che “piccolo non è più bello”, che le imprese devono crescere se non vogliono essere schiacciate dalla competizione, invece le attività artigiane sono resilienti, resistono, innovano, si internazionalizzano…
"C’è del vero in entrambe le tesi. Piccolo da solo oggi non funziona più, ma è superato e obsoleto pure il mito della crescita dimensionale. Il tema strategico di oggi e del futuro è la connessione. Le filiere e le reti sono connessioni tra soggetti diversi che contaminano settori e attività diverse, anche di Paesi diversi: la manifattura con i servizi, le grandi imprese con le piccole. Connessioni per creare valore aggiunto, migliorando la produttività, la presenza sui mercati, la capacità di innovare.
Basti pensare alla customizzazione dell’automotive: i produttori di auto sono ormai una sola dozzina in tutto il mondo ma propongono auto personalizzate; abbiamo fatto diventare imprese “a valore artigiano” anche i grandi produttori di auto. Il nostro saper fare, la competenza, la cultura, il gusto li si vedono in tante altre aziende: quando devono presentare il loro prodotto di punta, come nella moda, ad esempio, parlano di un prodotto artigianale, fatto a mano, con grande cura, unico…".
La seconda ondata della pandemia sta aggravando la crisi economica ma anche i problemi occupazionali e sociali del Paese. Come possiamo uscirne da questa brutta situazione?
"I settori più colpiti sono sotto gli occhi di tutti. Contemporaneamente però sta continuando a marciare - seppur con un ridotto numero di giri - un sistema produttivo e di servizi che vuole cogliere la ripresa non appena arriverà il vaccino. Il Governo ha il dovere di fare il massimo per chi ha subito i maggiori danni, ma la stessa attenzione dovrà poi essere prestata quando verrà tolta la safety car che Unione Europea e Bce hanno fatto entrare dopo questo incidente grave della pandemia. Allora i singoli Paesi, i singoli settori e le singole aziende dovranno essere prontissime a scattare come fossero dietro a Lewis Hamilton senza farsi attardare dalle guerre tra partiti o dai veti sul Mes.
Le imprese sono pronte a raccogliere questa sfida e sono fiducioso nella ripresa perché in Italia un anno di Pil, quasi 1.600 miliardi di euro, è finito nei depositi a breve nelle banche. E questo denaro - non investito, non remunerato, non impiegato nei consumi e tenuto fermo per paura - dopo questo fase incredibile di surplace, verrà reso disponibile".
Una delle sfide che dovremo affrontare a breve è quella del Recovery Fund, cioè come investire i 209 miliardi – 80 dei quali a fondo perduto - che l’Europa ci darà. Fiducioso?
"Non dobbiamo concentrarci su quanti saranno i progetti perché chi si occupa della cosa pubblica sa quali sono le priorità del Paese e conosce la strada che ha tracciato l’Europa. Il tema vero sarà la capacità di fare, di spendere i soldi che arriveranno, l’execution, di mettere mano alla riforma della giustizia civile che ci blocca, di sbaraccare una Pubblica amministrazione che frena lo sviluppo , di realizzare le infrastrutture … Il mio timore è di finire come Bitti, il paese sardo recentemente devastato dall’alluvione che disponeva di tutti i progetti e dei finanziamenti necessari per fare le opere programmate ed evitare questa catastrofe, ma che non ha fatto nulla! L’Italia non deve fare questa fine…".
Il premier Conte ha annunciato che a coordinare le risorse del Recovery Fund ci sarà lui, con i ministri Gualtieri e Patuanelli, un Comitato esecutivo di 6 manager e una task force di 300 persone.
Non c’è il rischio di ripetere gli Stati generali già visti, la task force di Colao inutilizzata e quindi di non sfruttare appieno tutte queste risorse?
"Anche questo è un dibattito che non mi appassiona. Spero che i manager chiamati a seguire i progetti del Recovery Fund si occupino dell’esecuzione e di sollecitare le eventuali modifiche normative a Governo e Parlamento. I quali non devono essere svuotati dei loro compiti. Poi se a curare la realizzazione dei progetti sarà una cabina di regia ristretta o un battaglione di manager poco importa. Senza affidare però tutto a una sola persona come sta avvenendo con il commissario Domenico Arcuri".
Confartigianato ha presentato al premier Giuseppe Conte 44 progetti, ma quali sono quelli più strategici?
"Il progetto decisivo per noi è la riforma della legge quadro dell’artigianato. Bisogna superare vincoli del XX secolo come i lavori in serie, il numero dei dipendenti diversi per diverse fattispecie, i vincoli per natura giuridica delle imprese. Sono tutte cose anacronistiche. Servono norme nuove e semplici che riconoscano l’impresa a valore artigiano. Con la Luiss abbiamo messo a punto un progetto di legge che abbiamo affidato al ministro Patuanelli. Poi, certo, sono importanti anche gli altri progetti che mettono al centro il credito, l’economia circolare, la rivitalizzazione delle aree interne, la manutenzione del Paese.
Dobbiamo imparare le lezioni che arrivano da questa pandemia. Se Angelina Jolie sogna di venire a vivere in un borgo italiano significa che dobbiamo imparare a valorizzare i numerosi gioielli che troviamo sparsi nel Belpaese. Dal lecchese alla Puglia passando per gli Appennini. Rivitalizzarli e connetterli con il mondo è un investimento che diventa un volano di economia, di risorse, di turismo, di occupazione".
Nel corso dei suoi 16 anni trascorsi nella Capitale ha incontrato i protagonisti del mondo che conta come Papa Ratzinger, Papa Francesco, Napolitano, Mattarella, Merkel, Berlusconi, Letta, Renzi.
Lei è il lecchese che forse ha maggiori contatti con le istituzioni e i centri di potere romano.
Una figura come la sua farebbe comodo e infatti in passato l’hanno candidata a sindaco di Lecco, presidente della Camera di commercio e altro...
Cosa farà adesso?
"Ho fatto il migrante, di lusso, ma il migrante. Per sedici anni, non mi sono mai trasferito a Roma per una scelta convinta, legato al mio territorio e ai valori del popolarismo lombardo. Ma è stata anche una fatica e devo ringraziare mia moglie e la mia famiglia per la pazienza e la comprensione che hanno avuto. Per qualche tempo resterò ancora in Confartigianato a fare da coach al nuovo segretario generale al quale potrò dare buoni consigli, ora che non posso più dare cattivi esempi".
Uno come lei non resterà con le mani in mano, la sua esperienza fa gola a molti.
A Roma come a Lecco…
"Non ho intenzione di ritirarmi da tutte le attività, ma ora non faccio programmi. Soprattutto in relazione ad impegni in politica o nelle amministrazioni, verso le quali in realtà ho avuto in passato qualche sollecitazione".
A cosa si riferisce? A un incarico ministeriale?
"Adesso lo posso raccontare, qualche sollecitazione effettivamente c’è stata nel febbraio 2014. Risale ai tempi in cui stavamo preparando la grande manifestazione di piazza a Roma, insieme alle altre confederazioni dell’artigianato e del commercio. Alla vigilia di quel grande evento il premier Enrico Letta mi disse: “Lascia per un po’ gli artigiani, a breve farò un rimpasto di Governo”. Ma, poi, a togliermi le castagne dal fuoco, ci pensò Matteo Renzi con il suo "Enrico stai sereno".".