Un esercito ucraino portato stabilmente a 800mila effettivi, addestrato e armato con il supporto diretto dell’Occidente. Una forza militare europea dispiegata sul territorio ucraino con compiti di deterrenza e sorveglianza.
E infine, un ruolo centrale degli Stati Uniti, chiamati a garantire intelligence, monitoraggio e verifica del rispetto di un eventuale cessate il fuoco.
Sono questi i tre pilastri fondamentali delle future garanzie di sicurezza per Kiev, delineati dal New York Times sulla base di documenti riservati emersi dopo due giorni di intensi negoziati diplomatici.
Secondo il quotidiano statunitense, i colloqui si sono svolti tra domenica e lunedì a Berlino, coinvolgendo rappresentanti di Stati Uniti, Ucraina e Paesi europei, e avrebbero prodotto due testi chiave, destinati a diventare il cuore di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Ucraina e Russia.
Il nodo centrale: sicurezza in cambio di concessioni politiche
L’obiettivo dei documenti sarebbe chiaro: offrire all’Ucraina garanzie di sicurezza tali da compensare due rinunce politiche decisive. Da un lato, Kiev dovrebbe accettare di non entrare nella NATO; dall’altro, sarebbe chiamata a rinunciare definitivamente al Donbass, territorio occupato e rivendicato da Mosca.

Se la rinuncia all’adesione all’Alleanza Atlantica appare ormai un passaggio quasi obbligato nel quadro negoziale, molto più complesso e controverso è il capitolo relativo al Donbass. La cessione di una parte del territorio nazionale resta uno dei punti più delicati per il governo ucraino e per l’opinione pubblica del Paese, oltre a rappresentare una concessione strategica rilevante nei confronti del Cremlino.
Due documenti riservati: principi e operatività
Nessuno dei due testi è stato reso pubblico. Tuttavia, il New York Times ne ricostruisce i contenuti principali.
Il primo documento definisce i principi generali delle garanzie di sicurezza, ispirandosi apertamente all’articolo 5 del Trattato NATO, quello che stabilisce la difesa collettiva in caso di aggressione contro uno Stato membro. Pur senza prevedere l’ingresso formale dell’Ucraina nell’Alleanza, il testo mira a replicarne la logica: un attacco a Kiev verrebbe considerato una minaccia comune.
Il secondo documento, definito “operativo”, entra invece nel dettaglio del meccanismo militare e strategico che dovrebbe prevenire nuove offensive russe. È qui che emergono le misure più concrete e ambiziose.
Un esercito ucraino permanente da 800mila soldati
Uno dei punti centrali del piano riguarda la dimensione e la struttura delle forze armate ucraine nel dopoguerra. Il documento prevede che l’Ucraina mantenga un esercito di circa 800mila uomini anche in tempo di pace, un livello eccezionalmente elevato.
Durante le fasi più intense del conflitto, le forze ucraine avevano raggiunto un massimo di circa 900mila soldati: l’idea, dunque, è quella di conservare quasi integralmente la capacità militare costruita durante la guerra.
Queste forze dovrebbero essere addestrate secondo standard occidentali e dotate di armi ed equipaggiamenti tecnologicamente avanzati, forniti da Stati Uniti ed Europa. L’obiettivo è rendere l’Ucraina capace di difendersi autonomamente e di scoraggiare qualsiasi futura iniziativa militare russa.
Truppe europee in Ucraina come deterrente
Il piano prevede inoltre la creazione di una forza militare europea destinata a operare sul territorio ucraino, con compiti di sorveglianza dello spazio aereo e delle acque territoriali. Le truppe sarebbero dislocate nell’Ucraina occidentale, lontano dalle eventuali linee di cessate il fuoco, per evitare incidenti diretti ma allo stesso tempo fungere da potente elemento di deterrenza.
Secondo quanto riportato dal New York Times, diversi Paesi europei avrebbero già manifestato la disponibilità a partecipare all’operazione. Ogni Stato potrebbe scegliere autonomamente il livello di coinvolgimento, modulando presenza, mezzi e responsabilità.
Il ruolo degli Stati Uniti: niente soldati, ma controllo totale
Il piano esclude esplicitamente l’invio di truppe statunitensi sul campo. Donald Trump, ricorda il quotidiano americano, ha ribadito più volte che Washington non dispiegherà soldati in Ucraina. Ciò non significa però un disimpegno degli Stati Uniti, che manterrebbero un ruolo strategico centrale.
Washington sarebbe incaricata di utilizzare i propri sistemi di intelligence per monitorare il cessate il fuoco, individuare movimenti sospetti delle forze russe e prevenire eventuali preparativi per nuove aggressioni. Gli Stati Uniti avrebbero anche il compito di verificare formalmente il rispetto degli accordi.
Un’attenzione particolare verrebbe riservata a eventuali provocazioni russe, una strategia che, sottolinea il documento, Mosca avrebbe già utilizzato in passato per aumentare la tensione e giustificare nuove azioni militari. Per rafforzare ulteriormente le tutele, le garanzie di sicurezza dovrebbero essere ratificate dai singoli Paesi attraverso procedure giuridicamente vincolanti.
Le posizioni delle parti: gelo da Mosca
Nonostante le aperture emerse a Berlino, la reazione della Russia è stata immediatamente negativa. Mosca ha respinto l’ipotesi di una tregua natalizia, ha escluso categoricamente la presenza di truppe NATO o europee in Ucraina e ha ribadito il rifiuto di qualsiasi compromesso sul Donbass.

Il giorno successivo al vertice, il clima si è raffreddato rapidamente. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha però annunciato che le proposte elaborate con gli Stati Uniti verranno finalizzate entro pochi giorni, dopodiché sarà Washington a presentarle formalmente al Cremlino.
Nel frattempo, l’Unione Europea spinge per raggiungere un’intesa sull’uso degli asset russi congelati, in vista del summit di giovedì. L’Italia, pur sostenendo il processo diplomatico, mantiene una posizione più prudente, segnalando la complessità politica e giuridica del dossier.