Un accordo per mettere fine alla guerra tra Ucraina e Russia “è vicino”, anche se restano da sciogliere alcuni nodi cruciali. Donald Trump lo ha detto al termine dell’incontro con Volodymyr Zelensky a Mar-a-Lago, preceduto da una lunga telefonata con Vladimir Putin.
“Qualcuno direbbe che siamo al 95% – ha dichiarato il presidente americano – io non so la percentuale esatta, ma sono stati fatti grandi progressi”.
Il riferimento è alla bozza del piano di pace in 20 punti elaborata da Kiev e Washington, descritta dallo stesso Zelensky come pronta al 90%. Tuttavia, i dossier più sensibili – il destino del Donbass e le garanzie di sicurezza per l’Ucraina – restano ancora aperti.
Insomma, l’ottimismo c’è, e ci si appella a quello. Anche se la sensazione è che per colmare quel 5-10% che manca ci voglia del tempo. E soprattutto siano necessarie concessioni da una parte e dall’altra.
“Our meeting was excellent… we have made a lot of progress on ending that war – by far closer than ever before.” – President Donald J. Trump 🇺🇸🇺🇦 pic.twitter.com/22j0LewxmX
— The White House (@WhiteHouse) December 29, 2025
Il Donbass, cuore del confronto politico-diplomatico
Il Donbass continua a essere il principale terreno di scontro negoziale. Zelensky ha ribadito che non c’è ancora un accordo sulla regione orientale, pur ammettendo che le posizioni si stanno avvicinando. Trump da parte sua ha confermato la complessità del tema:
“È una questione difficile, ma siamo più vicini di quanto fossimo prima”.
Da Mosca, però, la linea resta rigida. Secondo il Cremlino, la fine delle ostilità è possibile solo se Kiev prenderà una “decisione rapida e coraggiosa” sul Donbass. Il che, detto in parole spicciole, vuol dire accettare di cederlo interamente alla Russia, nonostante una parte del territorio sia ancora sotto controllo ucraino. Una richiesta che Kiev continua a respingere, pur mostrando aperture su soluzioni di compromesso come una zona demilitarizzata presidiata da forze internazionali.
Steve Witkoff, Stephen Miller, Pete Hegseth, and Jared Kushner at the Trump–Zelensky meeting. God help us all. pic.twitter.com/sp7ZJbAIxg
— Republicans against Trump (@RpsAgainstTrump) December 28, 2025
Trump tra Putin e Zelensky: nessun ultimatum, ma pressing diplomatico
Trump, in un’ottica molto più “morbida” rispetto al passato, non ha voluto forzare i tempi e ha escluso scadenze o ultimatum:
“Non ci sono tempi imposti, perché tutto è molto complesso”.
Una posizione che rappresenta, almeno per ora, un primo successo per Zelensky, deciso a negoziare senza pressioni dirette.
Allo stesso tempo, il presidente americano ha definito “buona e produttiva” la telefonata con Putin, alimentando la percezione di una diplomazia a due binari. Secondo fonti diplomatiche europee, Trump ritiene di aver individuato un possibile percorso: Mosca potrebbe rinunciare a ulteriori avanzate in cambio di garanzie di sicurezza credibili per l’Ucraina, fornite dagli Stati Uniti e – soprattutto – dagli europei.
“I just had a good and very productive telephone call with President Putin of Russia prior to my meeting, at 1:00 P.M. today, with President Zelenskyy of Ukraine…” – President Donald J. Trump pic.twitter.com/4biVoStksd
— The White House (@WhiteHouse) December 28, 2025

Garanzie di sicurezza: il ruolo dell’Europa e i limiti Usa
Le garanzie di sicurezza rappresentano l’altro grande nodo del negoziato. Trump ha confermato che “le nazioni europee sono coinvolte e che si sta lavorando a un accordo solido. Sul tavolo ci sono due opzioni principali:
- una forza europea di interposizione, sostenuta da Francia e Regno Unito,
- un meccanismo ispirato all’articolo 5 della Nato, proposto inizialmente dall’Italia.
Washington, però, immagina per sé un ruolo più defilato. Trump ha chiarito che non invierebbe truppe americane sul terreno, lasciando agli alleati europei il compito di garantire la deterrenza. Una prospettiva che non convince pienamente Zelensky, il quale continua a chiedere un maggiore coinvolgimento diretto degli Stati Uniti, anche offrendo opportunità economiche legate alla ricostruzione e alle risorse minerarie ucraine.
Zaporizhzhia e tregua: altri dossier sensibili
Tra i temi irrisolti figura anche la centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, attualmente sotto controllo russo. Trump ha riferito che Putin “sta lavorando con l’Ucraina per riaprirla”, definendolo “molto serio nel voler arrivare alla pace”. Kiev, però, rifiuta qualsiasi gestione condivisa con Mosca e propone una joint venture con gli Stati Uniti.
Sul cessate il fuoco – altro grande tema del momento – la posizione russa resta quella più scettica. Secondo il Cremlino, una tregua temporanea rischierebbe infatti solo di prolungare il conflitto. Washington, pur comprendendo le obiezioni russe, continua a esplorare formule per ridurre l’intensità delle ostilità.
Aperture di Zelensky: referendum ed elezioni
Durante l’incontro a Mar-a-Lago, Zelensky ha mostrato segnali di flessibilità politica. Come già fatto nelle ultime settimane, il presidente ucraino ha ipotizzato un referendum sul piano di pace e si è detto disponibile a indire le prime elezioni dal 2019, una richiesta sostenuta da Mosca e appoggiata da Trump, a condizione che la sicurezza sia garantita.
Trump ha ricambiato elogiando il leader ucraino, definendolo coraggioso, e non ha escluso una futura visita a Kiev o un discorso al Parlamento ucraino.
Europa coinvolta, attesa per la risposta di Putin
Nel corso del bilaterale, Trump e Zelensky si sono collegati anche con i leader europei. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sottolineato l’importanza della coesione tra alleati, mentre la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha parlato di progressi significativi, ribadendo la necessità di garanzie di sicurezza incrollabili fin dal primo giorno.
Secondo indiscrezioni, un nuovo vertice a Washington con Stati Uniti, Ucraina ed Europa potrebbe tenersi all’inizio di gennaio, mentre proseguono i contatti con Mosca. Trump ha detto di aspettarsi una risposta definitiva da Putin entro qualche settimana.
Nel frattempo, la guerra continua: nella notte, secondo il ministero della Difesa russo, le difese aeree di Mosca hanno abbattuto 89 droni ucraini su diverse regioni russe e sul Mar d’Azov. Un segnale che, nonostante i progressi diplomatici, la partita decisiva si gioca ancora sul filo sottile tra negoziato e conflitto.