ALTA TENSIONE

Trump pronto a bombardare il Venezuela (che chiede aiuto a Russia, Cina e Iran)

Nel mirino le basi dei narcotrafficanti. Nel Paese sudamericano è detenuto da oltre un anno il veneziano Alberto Trentini per “rappresaglia politica” nei confronti dell’Italia

Trump pronto a bombardare il Venezuela  (che chiede aiuto a Russia, Cina e Iran)

Una ne pensa, cento (in questo caso, forse) ne fa. L’avevamo scritto poco più di 24 ore fa: Donald Trump del verbo annoiarsi proprio non sembra conoscere l’esistenza.

E così, dopo l’Ucraina, Gaza, lo shutdown, ecco ora un possibile attacco al Venezuela.

Trump all'ONU: "Riconoscimento della Palestina un regalo ad Hamas”
Donald Trump

Ufficialmente ai narcotrafficanti che spadroneggiano nel Paese, più sottilmente forse contro il regime dittatoriale di Maduro, sospettato di avere legami proprio coi narcos.

Trump nega piani d’attacco, Maduro cerca sostegno da Russia, Cina e Iran

Fatto sta che quella che sarebbe l’imminente azione Usa ordinata da Trump è stata svelata in queste ultime ore da due giornali a stelle e strisce, The Wall Street Journal e The Miami Herald.

Le due testate hanno dato conto che l’amministrazione Trump avrebbe già individuato diversi obiettivi strategici all’interno del territorio venezuelano.

Si tratterebbe, secondo tali ricostruzioni, di basi militari, porti e aeroporti ritenuti funzionali a una presunta rete di narcotraffico collegata al regime di Caracas.

Va però evidenziato che gli stessi giornali Usa hanno riportato che non sarebbe ancora stata presa alcuna decisione definitiva in merito a un intervento armato.

Tanto è vero che interpellato direttamente sulla questione, il numero uno della Casa Bianca ha escluso in modo netto qualsiasi intenzione di attacco, rispondendo con un secco “no” ai giornalisti che gli chiedevano se stesse valutando un’operazione militare contro il Venezuela.

Washington punta sui legami tra Maduro e il narcotraffico

Fatto sta che sempre dalle indiscrezioni dei reporter, il piano d’azione lanciato da Washington – qualora venisse approvata – avrebbe come obiettivo la distruzione di infrastrutture militari e logistiche usate per il traffico di droga.

Gli Stati Uniti accusano da tempo l’entourage di Maduro di essere coinvolto direttamente nelle rotte del narcotraffico internazionale.

Maduro avverte Trump: "Pronti a lotta armata se Stati Uniti attaccano"
Il presidente del Venezuela Nicolas Maduro

Nel mirino ci sarebbero anche figure di vertice del governo venezuelano, indicate come parte di una rete che, secondo Washington, favorirebbe il passaggio di cocaina e altre sostanze verso il Nord America.

Diversa sarebbe invece la “fotografia” sul Fentanyl, sostanza sintetica al centro della crisi degli oppiacei negli Stati Uniti.

La “droga degli zombie” come ormai viene comunemente chiamata, non risulta infatti al momento riconducibile al Venezuela, essendo prodotta principalmente in Messico con precursori chimici importati dalla Cina.

Le forze americane nel Mar dei Caraibi

In ogni caso, la situazione è attenzionata da tempo e un’eventuale azione americana non sarebbe tutto sommato un fulmine a ciel sereno.

Negli ultimi mesi infatti gli Stati Uniti hanno rafforzato la loro presenza militare nella regione caraibica.

Il Pentagono ha dispiegato una portaerei, diverse unità navali e reparti di forze speciali, oltre a aerei da ricognizione e bombardieri B-52 e B-1, che hanno condotto missioni di sorvolo lungo le coste venezuelane.

Addirittura pare che in tutta questa azione propedeutica a un’eventuale attacco, sarebbe stata interessata anche la Cia con operazioni segrete in territorio venezuelano, anche se la natura di tali attività resta evidentemente coperta dal più totale riserbo.

Maduro chiede aiuto a Mosca, Pechino e Teheran

In ogni caso, nonostante la smentita ufficiale all’intenzione di attaccare, Nicolás Maduro si muove per cercare sostegno e copertura internazionale.

Politica, ma anche e soprattutto concreta, da Paesi che hanno arsenali in grado di controbattere alla potenza a stelle e strisce.

Ecco allora che sempre dai giornali americani arriva un’altra indiscrezione: secondo quanto riportato dal Washington Post, il leader venezuelano avrebbe infatti scritto una lettera al presidente russo Vladimir Putin, chiedendo assistenza per rafforzare le difese aeree del Paese, riparare i velivoli militari e ottenere nuovi sistemi missilistici.

Putin insiste a voler far da mediatore fra Iran e Israele: "Teheran non ci sta chiedendo aiuto militare"
Il presidente della Russia Vladimir Putin

Fonti vicine a Caracas parlano anche di contatti con la Cina e l’Iran.

Xi Jinping rilancia l’alleanza con Mosca: "Cina e Russia pilastri di stabilità globale"
Il numero della Cina Xi Jinping

A Pechino, Maduro avrebbe proposto una forma di cooperazione militare per fronteggiare quella che definisce una “escalation provocata dagli Stati Uniti”.

Usa-Venezuela, equilibrio precario

Dunque, un eventuale intervento armato americano rappresenterebbe una svolta pericolosa nella già complessa crisi venezuelana.

Finora le operazioni di Washington si sono limitate a colpire imbarcazioni sospettate di trasportare droga, ma un attacco su obiettivi terrestri segnerebbe un salto di livello nella pressione sul regime di Maduro.

Al momento, come detto, la posizione ufficiale della Casa Bianca resta di piena smentita: nessuna decisione operativa sarebbe stata presa, anche se il dispiegamento di mezzi e truppe nella regione lascia aperti tutti gli scenari.

Chi governa ora in Venezuela e chi governava in passato

Per capire il ruolo e la collocazione politica di Nicolás Maduro, serve guardare al contesto più ampio del “chavismo”, cioè il movimento politico nato attorno alla figura di Hugo Chávez, suo predecessore.

Maduro appartiene all’ala socialista e bolivariana della politica venezuelana. È il leader del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), formazione di sinistra creata da Hugo Chávez nel 2007 come fusione di vari movimenti socialisti e nazionalisti.

La sua ideologia si richiama al cosiddetto “socialismo del XXI secolo”, un modello che combina:

  • forte intervento statale in economia,
  • programmi sociali per le classi popolari,
  • nazionalizzazione delle risorse strategiche (soprattutto petrolio),
  • retorica anti-imperialista e opposizione all’influenza statunitense in America Latina.

Come detto, prima di Maduro c’era Hugo Chávez che è stato presidente dal 1999 al 2013.

Ex militare, salito al potere dopo un tentativo di golpe nel 1992 e la successiva vittoria elettorale, ha promosso la “Rivoluzione Bolivariana”, ispirata a Simón Bolívar e incentrata su nazionalismo, redistribuzione della ricchezza e partecipazione popolare.

Durante gli anni di Chávez, il Venezuela ha vissuto un periodo di forte polarizzazione politica: ampio consenso tra i ceti popolari grazie ai programmi sociali finanziati dal petrolio, ma anche gravi accuse di autoritarismo, corruzione e inefficienza economica.

Alla morte di Chávez (marzo 2013), Maduro, allora suo vice, ha vinto le elezioni con un margine molto stretto e ha ereditato un Paese già in forte crisi economica e sociale.

L’opposizione e contrapposizione interna

L’opposizione a Maduro è formata da partiti e coalizioni di centro e centro-destra, riuniti per anni sotto il nome di Mesa de la Unidad Democrática (MUD).

Questi movimenti accusano Maduro di autoritarismo, manipolazione del voto e violazioni dei diritti umani.

Diversi paesi occidentali, tra cui Stati Uniti e Unione Europea (e due anche l’Italia), non riconoscono la piena legittimità di alcune elezioni svolte sotto il suo governo.

Il Venezuela e l’Italia, la detenzione di Alberto Trentini e la “rappresaglia politica”

Proprio sulla violazione dei diritti umani e una possibile rappresaglia politica sono caratterizzati attualmente i rapporti tra Venezuela e Italia.

A quasi un anno dall’arresto in Venezuela di Alberto Trentini, il cooperatore italiano resta detenuto nel carcere di El Rodeo I in condizioni difficili e senza un’adeguata assistenza legale.

Alberto Trentini, da ormai un anno detenuto in Venezuela

La sua vicenda appare intrecciata con questioni politiche e economiche: da un lato, Roma ha dato rifugio a esponenti dell’opposizione venezuelana; dall’altro, persistono crediti italiani verso Caracas per oltre 2,5 miliardi di euro, legati a imprese come Eni, Webuild, Ghella, Astaldi, Tenaris e Danieli.

Il caso rappresenta oggi un banco di prova per la diplomazia italiana, divisa tra la linea politica – che non riconosce il regime di Nicolás Maduro – e la possibilità di un negoziato economico-finanziario per ottenere la liberazione di Trentini.

Nonostante i rapporti bilaterali ridotti al minimo, contatti diplomatici e personali si sono riaperti: la visita del nostro incaricato d’affari in carcere e i recenti contatti tra i vice ministri degli Esteri fanno sperare in una possibile soluzione.

Sullo sfondo, figure influenti come Camila Fabbri e Rafael Lacava potrebbero giocare un ruolo chiave nel dialogo silenzioso tra Roma e Caracas.