Negli Stati Uniti lo shutdown è una parola che torna ciclicamente a dominare il dibattito politico. Si tratta della chiusura parziale del governo federale quando Congresso e Casa Bianca non riescono ad approvare in tempo il bilancio o le leggi di spesa necessarie a finanziare le agenzie pubbliche.
Negli ultimi decenni, diversi presidenti americani, da Jimmy Carter a Donald Trump, si sono trovati al centro di queste crisi istituzionali, che spesso nascondono scontri politici profondi su tasse, welfare e sanità pubblica.
Dagli anni di Carter alle prime tensioni sul bilancio
Il primo ciclo di shutdown moderni risale all’amministrazione Jimmy Carter (1977-1979), quando il Congresso – a maggioranza democratica – e la Casa Bianca si scontrarono su spese per la sanità, il welfare e i diritti civili, inclusi aborto e desegregazione scolastica.
Quei blocchi, durati da pochi giorni a un massimo di 18, segnarono l’inizio di un meccanismo politico che sarebbe diventato ricorrente.
Reagan e la stagione dei tagli alla spesa
Durante la presidenza Ronald Reagan (1981-1989) gli shutdown furono otto, seppur di breve durata. Al centro delle tensioni: la riduzione delle tasse e i tagli ai programmi sociali voluti dalla Casa Bianca, contro la resistenza del Congresso democratico.
Per Reagan lo shutdown divenne uno strumento per ribadire la propria visione conservatrice dello Stato e della spesa pubblica.
Bush padre e lo scontro sulle tasse
Nel 1990 anche George H. W. Bush si trovò costretto a chiudere parzialmente il governo per tre giorni, nel tentativo di contenere il deficit federale. La disputa con i democratici lo spinse però a rompere la promessa elettorale del “no new taxes”, con gravi conseguenze politiche che contribuirono alla sua sconfitta alle elezioni successive.

Clinton e il grande stallo con Gingrich
Il conflitto più celebre degli anni ’90 avvenne durante la presidenza Bill Clinton, in due shutdown consecutivi (1995 e 1996).
Lo scontro con lo speaker repubblicano Newt Gingrich riguardava il bilancio federale e i tagli al welfare. Il governo rimase paralizzato per 21 giorni, ma alla fine Clinton ne uscì rafforzato: l’opinione pubblica ritenne il Congresso responsabile dell’impasse.

Obama e la battaglia sull’Obamacare
Nel 2013, sotto Barack Obama, il governo federale chiuse per 16 giorni. Il motivo fu il rifiuto dei repubblicani, spinti dal movimento Tea Party, di finanziare la legge sull’assicurazione sanitaria nota come Obamacare.
Lo stallo costò miliardi di dollari all’economia americana, ma il presidente riuscì a difendere la sua riforma sanitaria, confermata poi dalla Corte Suprema.

Trump e lo shutdown più lungo della storia (fino a ora)
La prima era di Donald Trump portò due nuovi shutdown, di cui uno – durato 35 giorni tra il 2018 e il 2019 – è stato il più lungo della storia americana recente, sino a quello attualmente in corso (e appena bloccato con una legge “ponte”).
Il conflitto nacque dalla richiesta del presidente di finanziare il muro al confine con il Messico, misura simbolo della sua agenda politica.

Alla fine, Trump non ottenne i fondi richiesti, ma dichiarò lo stato d’emergenza nazionale per reindirizzare risorse militari, aggirando in parte il Congresso.
Biden e la politica degli accordi temporanei
Con Joe Biden, gli Stati Uniti non hanno vissuto un nuovo shutdown, ma il rischio è stato più volte concreto.
Tra il 2023 e il 2024 la Casa Bianca ha raggiunto accordi temporanei (“stopgap bills”) con i repubblicani della Camera per evitare la chiusura del governo, in un contesto di forte polarizzazione e tensioni interne al partito repubblicano.
Lo shutdown come arma politica
Nel tempo lo shutdown è diventato più di un problema amministrativo: c’è chi lo definisce una sorta di ricatto, ma si tratta di uno strumento di pressione politica, usato per forzare compromessi su temi chiave come tasse, welfare, immigrazione e sanità.
Sebbene nessun presidente “voglia” formalmente la chiusura del governo, la storia recente mostra come lo shutdown rifletta la difficoltà del sistema americano nel trovare accordi bipartisan su questioni di spesa pubblica e priorità sociali.