MEDIO ORIENTE

Ricostruzione Gaza: no a Trump di 57 Paesi arabi che scelgono il Piano egiziano

Intanto appello a Netanyahu dagli ostaggi liberati finora: "Riporta a casa anche gli altri"

Ricostruzione Gaza: no a Trump di 57 Paesi arabi che scelgono il Piano egiziano
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No alla ricostruzione di Gaza proposta da Trump, sì al Piano egizio. Questa la decisione di 57 Paesi arabi che hanno respinto il progetto del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, optando invece per l'iniziativa guidata dall'Egitto.

La riviera voluta Trump

Il piano di Trump prevedeva la presa di controllo da parte degli Stati Uniti del territorio di Gaza, con l'obiettivo di trasformarlo in una destinazione turistica di lusso dal nome "Riviera del Medio Oriente". Un progetto che includeva il trasferimento di circa 2 milioni di palestinesi verso Paesi limitrofi, scatenando la protesta degli stessi ma anche dei Paesi che li avrebbero dovuto accogliere.

Secondo Trump, la Striscia di Gaza è stata per decenni "un simbolo di morte e distruzione" e non dovrebbe essere ricostruita e gestita dalle stesse persone che vi hanno vissuto finora. Dal canto suo, Hamas aveva definito l'idea di un controllo americano su Gaza "ridicola e assurda". Il piano ha poi suscitato immediate reazioni a livello internazionale soprattutto dai Paesi arabi.

L'Organizzazione per la cooperazione islamica ha infatti adottato il piano egiziano approvato dalla Lega araba per il futuro di Gaza come controproposta al piano di Donald Trump di prendere il controllo della Striscia e trasferire i palestinesi.

Cosa prevede il Piano dell'Egitto

L'Egitto ha presentato un piano alternativo da 53 miliardi di dollari, focalizzato sulla ricostruzione di Gaza e sul mantenimento della popolazione palestinese nel territorio. Questo piano prevede una fase iniziale di sei mesi dedicata alla ripresa, seguita da due fasi di ricostruzione nell'arco di cinque anni. Inoltre, propone la formazione di un comitato tecnico temporaneo per la governance di Gaza e il dispiegamento di forze internazionali di pace. Il piano è stato già accolto positivamente anche da Hamas.

L'obiettivo è ricostruire Gaza, che Israele ha quasi completamente distrutto, mantenere la pace e la sicurezza e riaffermare la governance dell'Autorità Nazionale Palestinese a Gaza dopo 17 anni. Una volta ripulite le strade, verranno costruite 200.000 unità abitative temporanee per ospitare 1,2 milioni di persone e saranno restaurati circa 60.000 edifici danneggiati.

Il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas

In quattro o cinque anni, il piano mira a costruire almeno 400.000 case permanenti, nonché a ricostruire il porto marittimo e l'aeroporto internazionale di Gaza. Gradualmente verrebbero ripristinati anche i servizi essenziali quali l'acqua, il sistema di smaltimento dei rifiuti, i servizi di telecomunicazione e l'elettricità. Il piano prevede inoltre l'istituzione di un Consiglio direttivo e di gestione, che rappresenterebbe un fondo finanziario a sostegno dell'organismo di governo ad interim di Gaza.

Per raccogliere i fondi necessari alla ricostruzione si terrebbero anche conferenze per cercare donatori internazionali. Il piano prevede infine che un gruppo di “tecnocrati palestinesi indipendenti” gestisca gli affari a Gaza, sostituendo di fatto Hamas. Secondo il presidente egiziano al-Sisi, il governo tecnico sarebbe responsabile della supervisione degli aiuti umanitari e di spianare la strada all'amministrazione di Gaza da parte dell'Autorità Nazionale Palestinese. Pur non menzionando le elezioni,  il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas ha affermato che queste potrebbero essere istituite tra un anno, se le circostanze lo consentiranno.

Israele respinge il piano arabo

Israele nel frattempo ha respinto la dichiarazione del summit arabo che si è tenuto al Cairo per discutere della ricostruzione di Gaza. Netanyahu ha sempre elogiato il piano di Trump, confermandolo nuovamente con le recenti affermazioni arrivate da Tel Aviv.

Netanyahu: "Pronti a riprendere la guerra in qualsiasi momento"
Benjamin Netanyau

Il vertice, si legge in una nota del ministero degli Esteri di Tel aviv, "non è riuscito ad affrontare la realtà della situazione dopo il massacro di Hamas del 7 ottobre 2023. È degno di nota che il feroce attacco terroristico di Hamas non venga menzionato e che non ci sia nemmeno una condanna di questa entità terroristica omicida, nonostante le atrocità documentate".

Dopo le minacce di Trump ad Hamas per far sì che gli ultimi ostaggi israeliani siano liberati, i parenti degli stessi prigionieri sono scesi in piazza a Tel Aviv giovedì 6 marzo 2025, chiedendo al presidente degli Stati Uniti Donald Trump di non collaborare con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Rivolgendosi a Trump durante la protesta, gli ostaggi hanno chiesto di "non cooperare con Netanyahu" ma di spingerlo a fare un accordo per liberare tutti coloro che sono ancora in cattività.

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