Il 29 settembre 2025, alla Casa Bianca, Donald Trump ha presentato un piano di pace in 20 punti per porre fine al conflitto con Hamas a Gaza, quasi due anni dopo l’attacco del 7 ottobre 2023. Il documento, che Israele ha già accettato, include cessate il fuoco immediato, lo scambio di ostaggi israeliani con prigionieri palestinesi, il disarmo di Hamas e la sua esclusione dal governo della Striscia.
Una parte decisiva della partita si gioca però nel mondo arabo, dove c’è un misto di approvazione condizionata, richieste di chiarimento e pressioni perché il piano diventi operativo — ma non così com’era stato annunciato inizialmente.
Qatar, Egitto e Turchia, hanno incontrato Hamas più volte nelle ultime 24 ore, per persuaderli a rispondere positivamente.
Qatar, Egitto e Turchia: mediatori cauti e protagonisti delle trattative
Qatar, Egitto e Turchia sono stati tra i primi paesi arabi a dialogare direttamente con Hamas subito dopo l’annuncio del piano. A Doha, rappresentanti qatarioti, egiziani e turchi hanno incontrato la leadership negoziale di Hamas per analizzare i dettagli del piano.
Il Primo Ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, ha detto che “alcune questioni del piano richiedono chiarimenti e negoziazione” e che si spera che tutti guardino al piano “costruttivamente” per cogliere l’opportunità di porre fine alla guerra.
Gli arabi mediatori sono particolarmente interessati a due punti: il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia e la creazione di una nuova amministrazione palestinese per Gaza che sia realmente autonoma. L’assenza di chiarezza su questi temi ha generato riserve.
Arabia Saudita: approvazione con condizioni
L’Arabia Saudita ha manifestato “sostegno al piano completo degli Stati Uniti” che punta a porre fine al conflitto a Gaza, ma al contempo ha ribadito richieste precise. Il governo saudita ha affermato che non accetterà l’annessione di territori del West Bank da parte di Israele e ha sottolineato la necessità che Israele si ritiri completamente da Gaza.
Il Regno ha inoltre riaffermato che l’instaurazione di uno Stato palestinese deve avvenire lungo i confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale. Queste posizioni mostrano che, pur apprezzando l’iniziativa americana come opportunità, l’Arabia Saudita vuole salvaguardare alcuni principi non negoziabili: sovranità palestinese, ritiro israeliano, diritti territoriali pre-1967.
Il fronte del consenso arabo: sostegno pubblico, ma con margini
Diversi Paesi arabi hanno reso noto il loro sostegno al piano di Trump. Qatar, Egitto, Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti e Turchia condividono l’idea che il conflitto debba finire presto, che sia importante garantire il rilascio degli ostaggi e avviare la ricostruzione di Gaza.
Altri, come Bahrein e Kuwait, hanno definito l’iniziativa statunitense “un’iniziativa positiva” che potrebbe salvare vite e alleviare le sofferenze del popolo palestinese, a condizione che venga rispettata la piena occupazione dei diritti palestinesi, incluso il ritiro dei soldati israeliani e un processo di pace giusto.
Le riserve e le critiche
Nonostante il sostegno, non mancano le critiche. Una delle principali è la vaghezza su alcuni punti chiave: la definizione di che tipo di amministrazione palestinese prenderà il controllo di Gaza, i tempi e le modalità del ritiro israeliano, e la garanzia che la guerra non riprenda. Queste incertezze sono considerate da molti nei paesi arabi elementi potenzialmente pericolosi.
Un’altra critica riguarda l’influenza israeliana sul testo finale. Alcune versioni preliminari discussero condizioni più severe per il ritiro israeliano, ma la versione resa pubblica, secondo fonti arabe e mediatori, consente che le forze israeliane restino in una zona di sicurezza per un periodo indefinito. Questo è stato percepito come una concessione che riduce le promesse iniziali fatte nei colloqui.
Infine, molti Paesi arabi insistono sulla necessità che il piano includa un percorso chiaro e garantito verso uno Stato palestinese indipendente, non solo come aspirazione futura ma come elemento fondamentale. L’assenza di condizioni esplicite in questo senso è vista come uno dei difetti maggiori.
Pressione su Hamas e strategia araba
I paesi arabi non solo osservano: stanno intervenendo attivamente come mediatori. Qatar, Egitto e Turchia, hanno incontrato Hamas più volte nelle ultime 24 ore, per persuaderli a rispondere positivamente.
Contemporaneamente, questi Stati cercano di mediare tra le richieste arabe — che puntano a proteggere i diritti palestinesi — e le pressioni di Israele e degli Stati Uniti. L’Arabia Saudita, con la sua influenza diplomatica, appare in prima linea nel tentativo di far accettare il piano da Hamas ma senza che vengano lesi principi fondamentali.
La proposta di pace di Donald Trump è “ingiusta e di parte”, ma il movimento islamista palestinese Hamas la tratterà “con assoluta positività”. Lo rivela il quotidiano panarabo saudita con sede a Londra Asharq al Awsat citando fonti interne al movimento, le quali hanno criticato il fatto che il piano statunitense conceda a Israele un’ampia libertà sul ritmo del ritiro da Gaza e non offra garanzie vincolanti.