il tycoon valuta sanzioni

Perché secondo Trump i bassi costi del petrolio costringeranno Putin alla resa in Ucraina

Intanto la Russia avanza in Donbass. Washington "sgrida" Mosca

Perché secondo Trump i bassi costi del petrolio costringeranno Putin alla resa in Ucraina
Pubblicato:

Donald Trump intravede una possibilità di tregua nel conflitto ucraino, ma la chiave, secondo lui, non si trova nei negoziati politici o nelle alleanze militari, bensì nel prezzo del petrolio.

Un'osservazione riportata da Bloomberg lo vede affermare:

"Penso che avremo un cessate il fuoco perché i prezzi del petrolio sono bassi".

Una dichiarazione che riflette una realtà complessa: l’economia russa è fortemente dipendente dalle esportazioni energetiche, e un mercato petrolifero debole potrebbe metterne a dura prova la capacità di sostenere lo sforzo bellico.

Il tallone d’Achille della Russia: la dipendenza dal petrolio

Per comprendere la rilevanza dell’analisi di Trump, è necessario guardare alla struttura economica della Russia. Oltre un terzo del bilancio federale russo è alimentato dalle entrate derivanti da petrolio e gas naturale. Quando i prezzi del Brent o del WTI (i principali benchmark del greggio) scendono sotto la soglia critica – stimata tra i 70 e i 75 dollari al barile – la sostenibilità economica del Cremlino vacilla.

Perché secondo Trump i bassi costi del petrolio costringeranno Putin alla resa in Ucraina
Valdimir Putin

In queste fasi, il governo russo è spesso costretto ad attingere al Fondo nazionale del benessere, un fondo sovrano concepito per gestire le emergenze economiche. Se le entrate non bastano, Mosca può anche emettere debito interno in rubli, ma in condizioni meno favorevoli, oppure tagliare la spesa pubblica – anche quella destinata al comparto militare.

La situazione si complica ulteriormente a causa delle sanzioni occidentali. Queste misure non solo limitano l’accesso della Russia ai mercati finanziari globali, ma ostacolano anche la diversificazione delle fonti di finanziamento. Il rublo, a sua volta, risente della volatilità del petrolio: una sua svalutazione spinge in alto l’inflazione e rende più costosi gli import tecnologici, minando la stabilità dei prezzi interni e la coesione politica.

Mercati tranquilli, ma vulnerabili: il ruolo dell’Asia

Attualmente, i mercati petroliferi sembrano relativamente stabili. Il WTI con consegna ad agosto viaggia sotto i 66 dollari al barile, mentre il Brent si mantiene appena sotto i 68. Dopo il recente picco causato dalle tensioni tra Israele e Iran, i prezzi sono tornati a livelli più contenuti, segnalando che gli operatori non si attendono una crisi energetica immediata.

Tuttavia, la calma potrebbe essere solo apparente. Le tensioni in Medio Oriente rimangono un potenziale detonatore per nuovi choc energetici. Gli attacchi statunitensi a infrastrutture nucleari iraniane avevano sollevato il timore che Teheran potesse bloccare lo Stretto di Hormuz, da cui transita circa un quinto del petrolio globale. Un’escalation potrebbe riportare rapidamente i prezzi del greggio sopra quota 85 dollari, con ripercussioni diffuse.

In questo contesto, l’Asia appare particolarmente esposta. Nonostante una parziale riduzione dell’intensità energetica, la dipendenza del continente dalle importazioni rimane elevata: circa il 25% del fabbisogno energetico asiatico è coperto dal petrolio, con l’80% di questo importato dall’estero. Finché i prezzi resteranno sotto i 70 dollari al barile, l’impatto sarà gestibile. Ma se i costi dell’energia dovessero aumentare in modo duraturo, i bilanci pubblici dei paesi importatori ne risentirebbero, costringendo i governi a incrementare i sussidi o a fronteggiare nuove spinte inflazionistiche.

Effetti globali: valute emergenti sotto pressione

L’andamento del petrolio ha già prodotto effetti evidenti sulle valute dei mercati emergenti. Paesi esportatori netti come Brasile e Colombia hanno beneficiato di un rafforzamento delle loro monete. Al contrario, economie più fragili e importatrici come le Filippine o l’India stanno facendo i conti con un deterioramento della bilancia dei pagamenti.

Nel frattempo, Trump ha offerto segnali di distensione sul fronte commerciale, un gesto che potrebbe contribuire a rasserenare i mercati.

Il fronte ucraino: avanzate militari e attesa diplomatica

Sul piano militare, mentre si parla di possibili negoziati, le truppe russe continuano ad avanzare sul terreno. La Russia ha recentemente preso il controllo di Dachne, un villaggio nella regione ucraina di Dnipropetrovsk, segnando una nuova espansione verso il centro del Paese. Secondo la Reuters, nei soli ultimi due mesi, Mosca ha conquistato circa 950 km² di territorio.

Perché secondo Trump i bassi costi del petrolio costringeranno Putin alla resa in Ucraina
Avanzata russa

Nel nord-est, nella regione di Luhansk – una delle quattro aree che la Russia rivendica come proprie – il governatore nominato da Mosca ha dichiarato che le truppe hanno raggiunto il pieno controllo. Anche nella regione di Donetsk si registrano scontri intensi: le autorità filo-russe denunciano attacchi ucraini alla città principale, con vittime civili.

Un altro fronte si è aperto a nord, nella regione ucraina di Sumy, dove le forze russe avrebbero occupato un'area di circa 200 km². Nel complesso, secondo fonti ufficiali russe, Mosca controllerebbe oggi oltre 113.500 km² di territorio ucraino.

Verso nuovi colloqui?

Nonostante l’avanzata militare, il Cremlino lascia aperto uno spiraglio al dialogo. Dmitry Peskov, portavoce del presidente Vladimir Putin, ha dichiarato che Mosca si augura di concordare a breve una data per il terzo round di negoziati con Kiev.

Sebbene non ci sia ancora una data ufficiale, la speranza è di fissare un incontro nei prossimi giorni, secondo quanto riportato durante il summit dell’Unione economica eurasiatica a Minsk.

Washington lancia un segnale a Mosca e valuta sanzioni

Intanto, sul fronte occidentale, le sanzioni restano uno strumento centrale per esercitare pressione su Mosca. Il senatore repubblicano Lindsey Graham ha annunciato che, dal 7 luglio, discuterà con il Congresso un nuovo disegno di legge che conferirebbe a Trump l’autorità di imporre ulteriori sanzioni contro la Russia.

"Il presidente mi ha detto che è arrivato il momento di presentare questa proposta", ha dichiarato in un’intervista ad ABC News.

Lascia il tuo pensiero

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *