“Il nostro movimento non è riuscito a far cadere il regime, ma è riuscito a far cadere la sua credibilità, la fiducia del popolo iraniano. Prevedo grandi cambiamenti in Iran“.
Con queste parole la Premio Nobel per la Pace Narges Mohammadi, collegata dalla sua abitazione di Teheran dove si trova temporaneamente agli arresti domiciliari, ha aperto un nuovo squarcio di speranza nel terzo anniversario dell’uccisione di Mahsa Jina Amini.
Era il 16 settembre 2022 quando la giovane curda morì dopo tre giorni di coma, in seguito al suo arresto da parte della polizia morale. Da quel momento nacque il movimento “Donna, vita, libertà”, la più vasta ondata di proteste contro la Repubblica islamica dalla rivoluzione del 1979.
Mohammadi: “Un referendum libero per le donne iraniane”
Durante una conferenza stampa organizzata alla Camera dalla deputata Laura Boldrini, presidente del Comitato permanente sui diritti umani nel mondo, Mohammadi ha chiesto alla comunità internazionale di sostenere “un referendum libero e sotto supervisione esterna”, per “porre fine all’apartheid di cui sono vittime le donne iraniane e alla repubblica islamica che lo sostiene”.

Secondo l’attivista, la promessa fatta da Khomeini alla nascita della Repubblica islamica — consegnare il potere al popolo — non è mai stata mantenuta. Oggi, tuttavia, la situazione è diversa:
“L’opposizione a questa dittatura di matrice religiosa non è mai stata tanto forte. Accanto alla preoccupazione per un regime sempre più oppressivo, in me c’è anche tanta fiducia“.
Repressione e resistenza
Le sue parole arrivano in un momento di nuova stretta repressiva. Dopo i 12 giorni di guerra con Israele dello scorso giugno, il numero delle esecuzioni capitali è cresciuto vertiginosamente: 800 nel 2023, 900 nel 2024 e già 930 dall’inizio del 2025, ha ricordato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, anch’egli intervenuto alla conferenza.
Eppure, la mobilitazione internazionale sembra avere già prodotto un effetto: è stata infatti rinviata l’esecuzione di tre donne condannate a morte, Pakshan Azizi, Sharifa Mohammadi e Warisha Muradi, alle quali la città di Fabriano ha concesso la cittadinanza onoraria.
Un regime sempre più fragile
L’elezione nel 2024 del moderato Masud Pazeshkian alla presidenza, primo non appartenente al clero a candidarsi, è stata letta come un segnale di apertura, pur senza intaccare l’ossatura del sistema. Intanto, il movimento “Donna, vita, libertà” ha ampliato le sue rivendicazioni: dalla lotta contro il velo obbligatorio a quella contro povertà, disoccupazione e crisi ambientale.
“La forza di questo movimento — ha concluso Mohammadi — è stata quella di mostrare al mondo che la società iraniana non si arrende. Il regime ha perso la sua credibilità e il cambiamento non potrà più essere fermato”.