Sarebbe una rivoluzione

L’ultima di Trump: per andare negli Usa servirà mostrare gli ultimi 5 anni di attività sui social

Un processo di sorveglianza senza precedenti, peraltro alla vigilia dei Mondiali di calcio 2026

L’ultima di Trump: per andare negli Usa servirà mostrare gli ultimi 5 anni di attività sui social

Tutti consigliano di fare molta attenzione a quello che si pubblica sui social. Un contenuto sbagliato può rovinare un’amicizia, ma anche farci perdere un colloquio o un posto di lavoro. E tra poco potrebbe anche impedirci di andare negli Stati Uniti.

L’amministrazione Trump vuole infatti proporre una nuova misura che rischia di trasformare l’ingresso negli Usa in un processo di sorveglianza personale senza precedenti: ai visitatori stranieri potrebbe essere richiesto di consegnare cinque anni di attività sui social media.

La proposta, pubblicata sul Federal Register, estenderebbe i poteri di controllo della Customs and Border Protection (CBP) in modo drasticamente più invasivo rispetto agli standard attuali americani.

Una procedura che colpisce tutti: dagli europei agli studenti internazionali

Non si tratta di un provvedimento marginale: sarebbe esteso anche ai viaggiatori dei Paesi esentati dal visto, come Regno Unito e Germania, che finora potevano accedere con una semplice autorizzazione ESTA.
La promessa di un ingresso rapido lascerebbe spazio a un controllo invasivo che molti esperti definiscono sproporzionato e potenzialmente discriminatorio.

Donald Trump

L’obiettivo ufficiale è la sicurezza. Ma la quantità di dati richiesti va ben oltre i normali standard di frontiera:

  • informazioni private e familiari,
  • contatti passati,
  • identità digitali accumulate nel tempo.

Un vero dossier personale costruito prima ancora di mettere piede sul suolo americano.

Una politica che sembra inseguire più il controllo che la sicurezza

La mossa si inserisce perfettamente nella linea dura adottata da Trump su immigrazione e frontiere. Ma l’efficacia di tali misure è altamente controversa.

Non esistono infatti evidenze pubbliche che analizzare anni di post sui social riduca il rischio di minacce. Ciò che appare evidente, invece, è la crescente tendenza dell’amministrazione a estendere il proprio raggio di sorveglianza oltre i confini statunitensi e spesso oltre i limiti della necessità.

Fin dal ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump ha intensificato le restrizioni legate ai confini e ai processi di immigrazione. Negli ultimi mesi il Dipartimento di Stato ha già introdotto diverse misure aggiuntive, fra cui:

  • l’obbligo, per alcune categorie di richiedenti visto, di rendere pubblici i propri profili social;
  • l’ampliamento della online presence review ai richiedenti del visto H-1B e ai loro familiari;
  • tentativi di revocare visti a persone residenti negli USA che hanno partecipato a proteste legate al conflitto in Gaza.

Organizzazioni come la Electronic Frontier Foundation hanno già denunciato provvedimenti simili come “senza precedenti” e potenzialmente mirati a scoraggiare l’espressione libera e l’attività politica degli stranieri, dagli studenti ai lavoratori temporanei.

Privacy e opacità: un binomio sempre più preoccupante

La proposta solleva inoltre interrogativi gravi e irrisolti:

  • Come verranno custoditi i dati?
  • Per quanto tempo resteranno nei sistemi governativi?
  • Chi avrà il potere di analizzarli e con quali criteri?

Il Dipartimento della Sicurezza Nazionale, per ora, non ha rilasciato alcuna spiegazione in merito. Il rischio è quello di affidare a un meccanismo opaco un patrimonio di informazioni intime, senza reali garanzie di tutela, trasparenza o controllo democratico.

E la prossima estate c’è il Mondiale

La misura arriva a ridosso di un evento che potenzialmente potrà portare negli Stati Uniti milioni di cittadini stranieri. La prossima estate, infatti, Usa, Messico e Canada ospiteranno i Mondiali di calcio (peraltro i primi con la formula allargata a 48 squadre).

Se davvero venisse approvata questa norma, milioni di tifosi potrebbero trovarsi davanti a un dilemma inedito: consegnare anni di vita digitale o rinunciare al viaggio.

Un biglietto da visita che difficilmente un Paese – tanto più quello che si definisce “la più grande democrazia del mondo” – può considerare accogliente.

Sessanta giorni per opporsi, ma il margine sembra sottile

La consultazione pubblica è aperta, almeno formalmente.
L’esperienza degli ultimi anni mostra come le decisioni dell’amministrazione Trump in materia di immigrazione siano spesso state rapide e raramente influenzate dal dissenso pubblico.